domenica 29 novembre 2020

Perché La Regina degli Scacchi è il miglior film dell'anno


Parigi, 1960. Una ragazza addormentata nella vasca da bagno di una camera d’albergo si sveglia coi postumi di una sbornia. Stanno bussando alla porta, la giovane si precipita ad aprire e scopre con orrore che è in ritardo. Si veste rapidamente, ingoia un paio di pillole con un alcolico e si reca nel salone dell’albergo, dove ad attenderla c’è una scacchiera e un uomo dall’aspetto serioso, inappuntabile nella sua grisaglia grigia.

E’ l’incipit de La regina degli scacchi, la storia di una donna che scopre il gioco nel seminterrato di un orfanotrofio e diventa campionessa del mondo. Un soggetto all’apparenza impossibile da filmare ma che sotto la supervisione dello showrunner e regista Scott Frank è diventato il grande successo di questo autunno 2020 targato Netflix.

La Regina degli scacchi (in originale The Queen’s Gambit, ovvero il gambetto di donna, una delle mosse più micidiali del gioco) è tratto dall’omonimo romanzo di Walter Tevis, già abile romanziere de L’uomo che cadde sulla terra, Lo spaccone e Il colore dei soldi

A leggere la sinossi della storia, "Una serie drammatica sulla dipendenza, l’ossessione, il trauma e gli scacchi", il primo aggettivo che verrebbe in mente non sarebbe certo "elettrizzante". Tuttavia The Queen's Gambit è davvero "emozionante". La serie, sostenuta da una performance magnetica della protagonista, da una recitazione di livello mondiale, da un meraviglioso linguaggio visivo e da una sceneggiatura avvincente è una delle migliori dell'anno; per dirla come il New York Times, un trionfo.


Anya Taylor-Joy ne La regina degli Scacchi


Questa miniserie in sette parti ha come protagonista Elizabeth Harmon, interpretata da bambina da Isla Johnston e dai quindici anni in poi dalla prodigiosa Anya Taylor-Joy, che avevamo già conosciuto nell’interessante The Witch, diretto da Robert Egger. 

La piccola Beth resta orfana a otto anni dopo un incidente stradale nel quale perde la vita la madre single. La ragazzina è ospitata in un orfanotrofio cristiano del Kentucky dove diventa dipendente dalle pillole di Litio, un calmante che fino agli anni ‘50 era somministrato ai bambini per mantenerli calmi. In questa routine quotidiana alienante che vede i piccoli andare a scuola, cantare nel coro della chiesa e assistere a peplum movie religiosi come La tunica, Beth scopre nella cantina dell’istituto il custode Shaibel (l’attore Bill Campbell in un’interpretazione raffinata, tutta in sottrazione), un appassionato di scacchi che la introduce al gioco. Fin da subito la bambina sembra possedere delle doti innate e dopo essere stata presentata da Shaibel all'allenatore di scacchi della squadra del liceo locale inizia una carriera di scacchista che la porterà dodici anni dopo a Mosca a sfidare il campione del mondo sovietico Borgov. In mezzo assistiamo alla crescita della giovane Beth, una metamorfosi da crisalide a farfalla, segnata da un’adozione sfortunata, dalla dipendenza dagli psicofarmaci e dal consumo dissennato di alcol. Di più non è il caso di svelare poiché la serie ha l’andamento di un vero e proprio romanzo di formazione dai toni dickensiani nella prima parte per poi trasformarsi in un coming of age sportivo dai toni mitici nella seconda. 

L’andamento della storia è caratterizzato dunque da una struttura solida e da interpretazioni convincenti. Anya Taylor-Joy è all'altezza del compito riuscendo a essere affascinante e piena di glamour ma anche straziante, vulnerabile e divertente, spesso allo stesso tempo. È un’interpretazione davvero memorabile che scuote lo schermo e ci ricorda la migliore Meryl Streep degli anni ‘70. 


Anya Taylor-Joy

Anche i comprimari regalano momenti di grande recitazione pur essendo presenti in pochi episodi. Di Bill Campbell e il suo Shaibel abbiamo già detto, ci piace ora segnalare la regista Marielle Heller, qui nei panni di Alma, l’infelice madre adottiva. 

La confezione visiva è stupenda (dalle scenografie ai costumi) e l’esposizione del gioco è graficamente ben rappresentata. Dietro la macchina da presa troviamo Scott Frank che ha al suo attivo una carriera di solido sceneggiatore di film culto, quali Get Shorty, Minority Report e il recente Wolverine, mentre come regista ha diretto nel 2014 il noir implacabile La preda perfetta e nel 2017 la miniserie, sempre per Netflix, Godless. La sua messa in scena è cinematografica con inquadrature che ricordano il primo Brian De Palma. A titolo esemplificativo basti vedere come il regista filmi gli incontri di scacchi nell’episodio ambientato in Messico, giocando con le messe a fuoco tra primissimi piani e sfondi, oppure nel finale della serie, quando alla tradizionale steadycam sostituisce la macchina a mano per filmare con passo volutamente mosso, la passeggiata di Elizabeth nel parco di Mosca. Ogni “battaglia” sulla scacchiera rappresenta dal punto di vista metaforico un passaggio importante dell’evoluzione di Beth, sia dal punto di vista dell’apprendimento che di quello spirituale o intimo. 

La costumista Gabriele Binder, il truccatore Daniel Parker, lo scenografo Uli Hanisch (che ha al suo attivo Cloud Atlas e Babylon Berlin) fanno molto di più che catturare l'aspetto e l'atmosfera degli anni '60 negli Stati Uniti e all'estero. Usano quella estetica per illuminare la mentalità di Beth. Quando essa si trova in un equilibrio precario, in piena crisi interiore, il suo eyeliner la fa sembrare ancora più magra e fragile. 

Come ogni film di sport, La regina degli scacchi prende vita grazie al montaggio. La montatrice Michelle Tesoro realizza delle sequenze elettriche, ognuna differente dall’altra. Alcune fanno trattenere il respiro, altre sono commoventi, altre ancora esasperanti. Parte del merito è dovuto anche ai consulenti di scacchi Bruce Pandolfini e Garry Kasparov, quest’ultimo già campione del mondo dal 1985 al 2000. 


Una scena de La Regina degli Scacchi

Ogni grande storia sportiva non ha uno, ma due cuori pulsanti. C'è lo sport stesso, un gioco o una competizione in cui lo spettatore viene coinvolto. E poi ci sono il giocatore o i giocatori, con la loro vita, più grande del gioco. La regina degli scacchi possiede entrambi quei cuori. Scott Frank, Anya Taylor-Joy e la compagnia di giro non smettono mai di raccontare entrambe queste storie e il risultato è l’affascinante ritratto di una giovane donna che lotta per diventare la persona che vuole essere. Quando il suo viaggio la porta a Parigi ricorda le parole della madre adottiva e passa il tempo a vagare per musei, nutrendo la sua anima con qualcosa di più degli scacchi. Eppure non c'è mai alcun dubbio che da qualche parte, in qualche angolo della sua mente, ha gli occhi sul tabellone. Ed è un privilegio per noi spettatori vedere quell'angolo e vedere la bellezza del mondo, tutto in una volta. La regina degli scacchi rappresenta in modo convincente la linea sottile che intercorre tra genio e follia e lo fa con uno stile narrativo e rappresentativo totalmente cinematografico. Un lungo, imperdibile film di sei ore.




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