sabato 31 ottobre 2020

L'Uomo che volle farsi Re

 

Ci sono dei film che sono legati in maniera indissolubile alle sale cinematografiche in cui sono stati visti per la prima volta. E' un esercizio di memoria ricorrente e nostalgico, soprattutto coi titoli visti tanti anni fa, quando ancora l'unico modo per vedere un film era quello di andare al cinema. Negli anni '70 non esistevano VHS né tanto meno DVD, internet era ancora un esperimento militare top secret e i poveri liceali squattrinati dovevano aspettare che un film passasse in seconda visione per potere essere accessibile. Ed è proprio in un cinema di seconda visione che ho visto per la prima volta L'uomo che volle farsi Re. Il cinema Smeraldo si trovava a Piazza Cola di Rienzo a Roma, ora è stato soppiantato da una libreria Mondadori e a pensarci bene il locale ha subito una sorte migliore rispetto alle decine di sale trasformate negli ultimi trent'anni in supermercati, garage e Bingo. Ad ogni buon conto vidi il film in un sabato pomeriggio del 1976. Era un'epoca straordinaria per il cinema. Si affacciavano prepotenti a Hollywood i Movie Brats (i ragazzi terribili): Spielberg aveva già diretto Lo Squalo (Jaws), Coppola Il Padrino I e II (The Godfather), Scorsese Mean Streets e Taxi Driver e Lucas un anno dopo avrebbe sconvolto il linguaggio cinematografico con Guerre Stellari (Star Wars).

Il Poster del film

In questo contesto di mutazione straordinaria (l'ultima grande evoluzione del cinema) il vecchio leone John Huston (all'epoca il regista  aveva 70 anni e festeggiava i suoi 35 anni di attività di regista) aveva un curriculum che annoverava capolavori del calibro de Il Mistero del falco (The Maltese Falcon), Il Tesoro della Sierra Madre (The Treasure of The Sierra Madre) e La Regina d'Africa (The African Queen).
Tratto dal romanzo omonimo di Rudyard Kipling L'uomo che volle farsi Re narra le rocambolesche gesta  di una coppia d'imbroglioni - Daniel Dravot (Sean Connery) e Peachy Carnehan (Michael Caine), due soldati in congedo dell'impero britannico - che intraprendono un periglioso viaggio verso il Kafiristan, una regione sperduta ai confini dell'Afganistan, nel tentativo di trovare la fortuna in quella remota terra, popolata da selvaggi, sfruttando le proprie abilità militari. Giunti a destinazione i due non tardano ad accaparrarsi la fiducia degli ingenui locali, convinti che Dravot sia nientemeno che la reincarnazione di Alessandro Magno, dotato quindi di poteri sovrannaturali. Dravot viene dunque incoronato Re e ha accesso alle immense ricchezze in oro conservate dai tempi remoti di Alessandro. Tuttavia la sorte girerà le spalle quando quest'ultimo, oramai a suo agio nei panni di sovrano, deciderà di prendere in moglie una ragazza del luogo (l'esotica Roxanne, interpretata dalla moglie di Caine, Shakira). L'epilogo non potrà che essere drammatico ma la leggenda dei due avventurieri troverà un'eco nelle pagine redatte dal giornalista Rudyard Kipling che dedicherà a loro un libro.

Sean Connery e Michael Caine

In questo film ricorrono due elementi cardine del cinema hustoniano, ovvero la bramosia dell'uomo (tema già affrontato ne Il Tesoro della Sierra Madre), e il picaresco viaggio in terre sconosciute (vedi anche La Regina d'Africa). Tutto è affrontato con uno stile asciutto, coadiuvato da un copione impeccabile firmato dallo stesso Huston in collaborazione con Gladys Hill.
Una menzione merita la splendida fotografia di Oswald Morris e l'epica colonna sonora di Maurice Jarre (quello de Il ponte sul fiume Kwai e Lawrence d'Arabia). Huston dirige con un gusto che all'epoca apparve classico e un po' antiquato rispetto ai giovani autori sovra citati ma che al contrario oggi risulta quanto mai moderno nella sua assoluta semplicità.
Fantastico il duo Connery-Caine al quale si aggiunge un efficace Christopher Plummer nel ruolo di Kipling.
Imperdibile.

sabato 24 ottobre 2020

Bond Legacy Parte quarta. AGENTE 007, THUNDERBALL OPERAZIONE TUONO (THUNDERBALL)


Dopo l’enorme successo di Agente 007, Missione Goldfinger (Goldfinger) i produttori sono intenzionati a trasportare sullo schermo le vicende di Al Servizio Segreto di Sua Maestà (On Her Majesty’s Secret Service). Le difficoltà incontrate nel trovare le giuste locations spingono Saltzman e Broccoli a spostare la loro attenzione su Thunderball Operazione Tuono (Thunderball). Il problema principale risiede in un accordo da trovare con Kevin McClory, il coautore della storia che in origine avrebbe dovuto dirigere il film. Le controversie legate alla querelle con Ian Fleming costringono i due tycoon ad accettare un accordo oneroso per usufruire dei diritti cinematografici. La questione successiva è trovare un regista. Guy Hamilton non ne vuole sapere di tornare sul set, così Saltzman e Broccoli virano su Terence Young. Quest’ultimo, deluso dal rifiuto dei due di accettarlo come terzo partner produttivo per Goldfinger, acconsente a tornare dietro la macchina da presa in cambio di un compenso faraonico.

Le riprese cominciano il 16 febbraio 1965 in Francia, presso lo Château d’Auet. Tre giorni dopo Agente 007, Missione Goldfinger (Goldfinger) è nelle sale parigine mentre nel frattempo i romanzi di Fleming sfondano la quota di 50 milioni di copie vendute nel mondo e il merchandising è alle stelle. Le riprese alle Bahamas sono dunque funestate dall’isteria collettiva dei fans che assediano il set, impedendo a Connery e alla troupe di lavorare con serenità.


Il poster di Thunderball


In Francia si celebra il funerale del colonnello Jacques Bouvier. Bond partecipa alla funzione, poi va a porgere le condoglianze alla vedova che si rivela essere Bouvier stesso, agente numero sei della SPECTRE. Dopo una violenta colluttazione 007 uccide la spia e fugge su un elicottero monoposto.

A Parigi si svolge una riunione segreta della SPECTRE. Su indicazione di Blofeld, il numero due dell’organizzazione Emilio Largo è incaricato di supervisionare l’Operazione Tuono. Il piano prevede di rubare due testate atomiche per poi chiedere un riscatto di 280 milioni di dollari. 

Intanto Bond è nella clinica di Shrublands a godersi una settimana di cure fisioterapiche. Nel resort è presente anche Angelo Palazzi, un agente della SPECTRE che ha subito un intervento di chirurgia plastica che lo ha reso identico al Maggiore dell'aeronautica François Derval. Quest’ultimo è assassinato e Palazzi ne prende il posto, introducendosi in un bombardiere della NATO che viene dirottato con le atomiche a bordo. Il velivolo affonda nelle acque delle Bahamas, nei pressi di Nassau, dove a coordinare le operazioni, a bordo del panfilo “Disco volante”, c’è Largo con i suoi uomini. Nel corso di una riunione, convocata d’urgenza dall’MI6, viene consegnato a Bond un dossier riepilogativo degli eventi. La spia riconosce in una foto nel fascicolo François Derval. Egli, infatti, ne ha visto il cadavere in clinica. L’ufficiale ha una sorella, Dominique, detta Domino, che viaggia con Emilio Largo e si trova a Nassau. Bond individua nella ragazza una traccia per indagare e chiede di essere inviato alle Bahamas. Egli ha solo quattro giorni prima che scada l’ultimatum della SPECTRE.

Giunto a destinazione, il nostro abborda Domino e sfida Emilio Largo, protettore della ragazza, al tavolo da gioco del casinò. Poi di notte Bond ispeziona sott’acqua il Disco Volante alla ricerca delle testate ma è scoperto dagli uomini di Largo. L’agente riesce a fuggire grazie all’aiuto di Fiona Volpe, in realtà complice del numero 2 della SPECTRE. Dopo averla sedotta, Bond capisce di essere caduto in una trappola ma riesce a fuggire a Fiona e ai suoi sicari, che lo inseguono per le vie della città mentre è in corso il carnevale. Scampato al pericolo, Bond rivela a Domino che suo fratello è stato assassinato. Dopo avere scoperto che gli ordigni sono nascosti nel bombardiere 007 partecipa con la marina statunitense al conflitto subacqueo con gli uomini di Largo per recuperare le armi. Quest’ultimo fugge col Disco Volante ma Bond è alle sue calcagna e lo affronta. L’agente sta per soccombere quando Domino accorre in suo aiuto uccidendo il numero due della SPECTRE.


Una scena di Thunderball


In Agente 007, Thunderball Operazione Tuono (Thunderball) gli ingredienti sono i medesimi di Goldfinger ma le intenzioni degli autori sono quelle di realizzare uno spettacolo ancora più grande. La prima sequenza del film prevede l’introduzione di un gadget creato per l’esercito: un razzo in grado di decollare in verticale trasportando un uomo per un centinaio di metri. Inoltre la storia prevede uno yacht in grado di trasformarsi in aliscafo, un elicottero della marina statunitense di nuova concezione, svariati mezzi di immersione e il ritorno della Austin Martin DB5. Il problema principale è il tono della storia, indecisa tra l’impronta più seriosa di Fleming, o quella più umoristica di Goldfinger. Ne consegue un ibrido che si mantiene fedele al plot del romanzo accentuando solo la valenza spettacolare. Immersioni, gadgets, armi letali, sono tutti elementi che amplificano la dimensione ludica della vicenda ma che non bastano a fare di Agente 007 Thunderball Operazione Tuono (Thunderball) una pellicola riuscita. Prolisso, a dispetto dei mezzi produttivi amplificati dall’utilizzo del cinemascope, il film è una sequela di interminabili sequenze subacquee, prive di ritmo e suspense.

La data di uscita è fissata per il 21 ottobre 1965 ma alcuni problemi fanno slittare l’anteprima di un paio di mesi. Innanzitutto la durata del pre montato, supervisionato da Peter Hunt, supera le quattro ore. Inoltre le sequenze subacquee sono state girate da più angolazioni senza uno storyboard, ragion per cui editarle è arduo.

Nel frattempo il successo mondiale di Agente 007, Missione Goldfinger (Goldfinger) ha inaugurato un filone di pellicole spionistiche, emule di James Bond. Nel 1964 escono Carry on Spying, L’uomo di Rio (The Man From Rio) e Troppo caldo per giugno (Hot Enough for June), mentre l’anno successivo parte la serie Tv Get Smart, scritta da Mel Brooks e Buck Henry.


Adolfo Celi e Sean Connery in Thunderball

Intanto la macchina pubblicitaria di Thunderball si è messa in movimento. Claudine Auger inizia il suo tour promozionale a novembre e Tom Jones (interprete della title track) fa la sua prima apparizione all’Ed Sullivan Show. In vista dell’uscita del film la United Artists ristruttura il Paramount Theater di New York cambiando tutte le 3620 poltrone. La première americana è fissata per le 9 di mattina del 21 dicembre 1965 ma la decisione più importante a livello di marketing è quella di effettuare l’anteprima mondiale del film a Tokyo, il 9 dicembre dello stesso anno. Il motivo è semplice: il prossimo episodio della serie, Agente 007, Si vive solo due volte (You Only Live Twice), è ambientato nel paese del Sol Levante. 

Le recensioni del film sono tiepide. Thunderball è considerato un blockbuster e tutti i critici convengono sulla sua spettacolarità, giudicandolo tuttavia freddo e tedioso. Nonostante ciò il risultato al botteghino è sensazionale. In Germania la pellicola stacca un milione di biglietti nella prima settimana di programmazione mentre batte tutti i record d’incasso a New York e a Londra, superando i proventi di Goldfinger. Agente 007 Thunderball operazione tuono diventa dunque il maggior successo del 1966. Comprese le vendite del merchandising gli incassi sfiorano il bilione di dollari. In soli tre anni Bond si è trasformato in un fenomeno culturale imitato da tutti. Potrà sopravvivere all’isteria collettiva?

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domenica 11 ottobre 2020

Cercando la luce. L’autobiografia di Oliver Stone.

 Se la leggenda diventa realtà vince la leggenda.

Questa battuta, tratta da L’uomo che uccise Liberty Valance di John Ford, sintetizza quello che Oliver Stone pensa di Hollywood. C’è un brano della sua autobiografia, Cercando la luce, edita da La nave di Teseo che ben descrive l’approccio di Stone al cinema, esattamente all’opposto di quello di John Ford. Nel 2017 il regista scopre che la sceneggiatura di Fuga di mezzanotte, con la quale nel 1978 ha vinto il suo primo Oscar, non è basata su fatti reali. Bill Hayes, l’americano condannato a 30 anni di prigione in Turchia per detenzione di hashish, ha infatti ammesso di aver fatto il contrabbandiere di droga e che le sue memorie, dalle quali lo sceneggiatore ha tratto il film, sono state da lui romanzate per incontrare il favore dei lettori americani.
Oliver Stone, scrive nella sua biografia, non avrebbe mai scritto il copione se avesse conosciuto i fatti reali ma, commenta con amarezza, a Hollywood non interessa la verità. “Io sono convinto che come drammaturghi dobbiamo sforzarci di rispecchiare lo spirito della verità, se siamo in grado di conoscerla; fondamentale è una scrupolosa attività di documentazione. Ma un’ombra lunga grava ancora su questa impresa che è il cinema: tu puoi portare avanti le tue ricerche e arrivare a una verità ma, se questa non è memorabile, o è troppo complessa, alla maggior parte della gente non interesserà, non verranno a vedere il tuo spettacolo. Il pubblico vuole credere. Su questo tema, la mia carriera sarebbe incespicata più di una volta.” 

In effetti, tutte le volte che Oliver Stone ha raccontato nei suoi film persone reali ha suscitato polemiche. Che si tratti di Kennedy, oppure Nixon, fino ad Alessandro Magno, i critici lo hanno attaccato, talvolta a ragione, per inesattezze storiche o forzature personali su questioni politiche. 


Oliver Stone sul set di Platoon


Le oltre 600 pagine del memoir coprono la vita di Oliver Stone dall’infanzia fino alla vittoria dell’Oscar con Platoon, lasciando il lettore con l’amaro in bocca. L’autore, infatti, non ripercorre la carriera che va dal 1987 a oggi. Mancano dunque all’appello titoli importanti del calibro di Wall StreetJFK, Nato il quattro luglio, Tra cielo e terra e Assassini nati. Penso dunque che un secondo capitolo di questa autobiografia sia inevitabile. Per il momento possiamo goderci questo ritratto impietoso che l’artista fornisce di se stesso, soprattutto nella prima parte del libro, la più interessante, che affronta la sua vita familiare e la sua decisione, a soli 21 anni, di arruolarsi in Vietnam. Alla base di questa scelta c’è la profonda delusione di Oliver per il divorzio dei genitori. Il padre è un ex ufficiale dell’esercito che ha combattuto la seconda guerra mondiale e ha trovato in Francia l’amore. La madre del regista è, infatti, una parigina vivace che instaura col figlio un rapporto di estremo affetto ma anche di disinteresse, lasciandolo col padre quando, dopo quasi vent’anni di matrimonio, s’invaghisce di uno squattrinato fotografo e lascia la famiglia senza più dare notizie di sé per un paio d’anni.
Per sfuggire all’atmosfera rigida instaurata dal padre, un agente di cambio repubblicano che sogna per il figlio una carriera accademica, nel 1967 il ragazzo lascia Yale e fugge in Vietnam dove resta per un anno e mezzo come soldato semplice, vivendo un’esperienza decisiva, alla base della sua opera più celebre, Platoon. E’ nella giungla, infatti, che conosce il sergente Elias, immagine di un’America positiva e il sergente Barnes, il suo alter ego malefico. In realtà, come spiega lo stesso autore, la storia è costruita sull’Iliade e sui personaggi omerici di Achille e Ettore, proiettati nelle foreste pluviali del Vietnam.

Rientrato negli Stati Uniti, il nostro si mette subito nei guai ed è arrestato a San Francisco per possesso di hashish. Sbattuto in galera deve chiedere aiuto al padre ma l’esperienza in carcere gli tornerà utile per scrivere Fuga di Mezzanotte


Un giovane Oliver Stone in Vietnam

 Tornato nella Grande Mela Oliver s’iscrive alla scuola di cinema della New York University dove già insegna un venticinquenne Martin Scorsese. E’ il periodo della nouvelle vague francese e della sperimentazione godardiana ma il futuro regista predilige storie forti e ben strutturate e si mette in luce per il suo approccio realistico.

La vera ricompensa per gli appassionati di cinema è il resoconto che egli fornisce delle sue prime esperienze, passando dall’essere un tassista di trent’anni a uno dei migliori sceneggiatori di Hollywood, affermatosi con l’Oscar ottenuto per Fuga di mezzanotte. Prodotta da Peter Guber (destinato a diventare il tycoon della Sony) e diretta dall’inglese Alan Parker (recentemente scomparso), la pellicola è tratta dalle memorie - non attendibili col senno di poi - dell’americano Bill Hayes, arrestato a Istanbul per traffico di fumo, poi rinchiuso in una galera turca dove sarà fatto oggetto di torture indicibili prima di riuscire a fuggire.

Dopo l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, il passaggio di Oliver Stone da scrittore a regista è obbligato e nel 1981, dopo lo sperimentale Seizure, il cineasta dirige l’horror The Hand (La mano) con Michael Caine. 

Se la carriera come regista non promette nulla di buono quella come sceneggiatore procede alla grande. Lo scrittore, infatti, è chiamato da Ed Pressman a occuparsi della trasposizione sullo schermo dei romanzi di Robert E. Howard dedicati a Conan il barbaro. La creatura di Howard è già stata oggetto di una trasposizione a fumetti leggendaria, scritta da Roy Thomas e disegnata dall’inglese Barry Windsor Smith. Stone è un appassionato lettore delle strisce e immagina una saga composta da ben 10 lungometraggi. La stesura del primo copione è di ben 140 pagine e il preventivo stanziato  ammonta a oltre 100 milioni di dollari, un budget troppo elevato per l’epoca. Il progetto passa così in mano a Dino De Laurentiis che offre la regia a John Milius. L’incontro tra il regista di Un Mercoledì da leoni, nonché co sceneggiatore di Apocalypse Now e non accreditato de Lo squalo, e il giovane scrittore è indimenticabile. Stone, divenuto pacifista convinto dopo l’esperienza vietnamita, si scontra infatti con il carattere belligerante di Milius e la collaborazione va presto in frantumi. Alla fine ne esce un lungometraggio molto diverso da quello immaginato da Oliver Stone che lancia il giovane austriaco Arnold Schwarzenegger nell’empireo delle nuove star di Hollywood.


Arnold Schwarzenegger in Conan il barbaro


Subito dopo Stone è messo sotto contratto da Martin Bregman per occuparsi del copione di Nato il 4 luglio. Tratta dal libro del reduce Ron Kovic, la storia narra la vita di un autentico patriota che, partito per la guerra del Vietnam, torna in patria paraplegico dopo essere stato ferito, diventando un autentico pacifista. Il copione scritto da Stone è in parte anche autobiografico. Lo sceneggiatore vede in Ron Kovic quello che avrebbe potuto diventare se la fortuna non lo avesse assistito in Vietnam. La produzione dovrebbe vedere dietro la macchina da presa nientemeno che William Friedkin, poi sostituito dal mestierante Donald Petrie, e come protagonista il trentottenne Al Pacino. Ma i fondi promessi non arrivano e il progetto decade proprio quando è stata fissata la data di inizio riprese. Per Oliver Stone, che nel progetto ha investito tutto se stesso, si tratta di un duro colpo. Dopo Platoon questo è il secondo titolo ambientato in Vietnam a saltare e il sogno di portare sullo schermo le sue esperienze di vita sembra davvero impossibile, alla luce del successo nel 1978 de Il Cacciatore e Tornando a casa e nel 1979 di Apocalypse Now. La guerra in Vietnam è stata celebrata da ben tre capolavori e Stone dovrà attendere quasi dieci anni prima di poter tornare su entrambi i progetti.


Al Pacino in Scarface


E’ sempre Martin Bregman a venire in suo aiuto, proponendogli la scrittura del remake di Scarface, celebre gangster movie degli anni ‘30 diretto da Howard Hawks. La sceneggiatura  dell’ascesa e caduta di un criminale stavolta è ambientata in Florida e vede al posto di un italo americano un cubano. Alla regia c’è Brian De Palma, reduce dal successo di Vestito per uccidere, mentre nel ruolo principale è scritturato Al Pacino. Le riprese sono tormentate, i litigi tra De Palma e Pacino epici, ma il risultato al botteghino è clamoroso.

Nel 1986 Stone riesce a tornare alla regia con il copione di Salvador. Ambientata durante la rivoluzione sandinista, la storia ha come protagonista un cinico fotoreporter inviato in Sudamerica per scrivere sul conflitto civile. Il producer Gerald Green investe sul film tra mille difficoltà, consentendo al suo autore di guadagnarsi una nuova nomination. Il ritratto che Oliver Stone dà di James Woods, il protagonista del film, è quello, impietoso, di un attore pavido, pieno di idiosincrasie.
Il successo di Salvador, candidato a tre Oscar, consente al regista di riprendere in mano la sceneggiatura di Platoon. Il film, prodotto da Arnold Kopelson, è girato in 57 giorni nelle Filippine con un cast di attori sconosciuti. Nella parte del giovane protagonista e narratore Chris Taylor (vero e proprio alter ego di Oliver Stone) c’è Charlie Sheen, mentre nella parte del buon soldato Elias, la faccia innocente dell’America, c’è Willem Dafoe. Il perfido Barnes è interpretato invece da Tom Berenger.
Fin dalla prima uscita Platoon riscuote un unanime successo di critica e di pubblico, trionfando nell’edizione 1987 degli Oscar con quattro statuette, tra le quali quelle di Miglior Film e di Miglior regia per lo stesso Stone.


Platoon


Il contraddittorio comportamento di Oliver Stone con Hollywood e la stampa specializzata ha sollevato numerose perplessità nel corso degli anni. Sebbene nel libro l’autore non approfondisca troppo il suo uso di droghe (fatta eccezione per il ricordo lisergico legato alla premiazione avvenuta ai Golden Globe del 1978) o le sue avventure sessuali (al contrario scrive delle sue ex mogli con calore e rispetto), egli non nasconde nemmeno i suoi eccessi. "Sì mi sono anche ubriacato a Hollywood e drogato in pubblico, con un comportamento stupido e immaturo", scrive in un passaggio sorprendente.

La sua decisione di terminare il libro durante la fatidica notte degli Oscar del 1987 è brusca: vorremmo saperne di più sui suoi lavori successivi, ma è evidente che Oliver Stone in questa prima parte si è voluto concentrare sulla sua ascesa a Hollywood e lo ha fatto con grande sincerità mostrandosi vulnerabile, introspettivo, tenace e, spesso inconsolabile.


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venerdì 2 ottobre 2020

Doppio Brian De Palma. Gli 80 anni del regista sono l’occasione per riflettere sul suo capolavoro che compie 40 anni: Vestito per uccidere.


Alla fine degli anni ‘60 il cinema hollywoodiano conosce un periodo di profonda crisi creativa. Le vecchie formule dei blockbuster epici alla Cleopatra o dei musical ipertrofici alla Tutti insieme appassionatamente sembra sorpassata. La rivoluzione sessantottina è alle porte e i giovani conoscono una trasformazione che include, nell'ordine, la musica rock, le proteste studentesche, l’amore libero e le droghe. In Francia la nouvelle vague ha frantumato le regole del cinema ed è scesa in strada a filmare storie che reinventano i generi con uno stile rivoluzionario: cineprese leggere in 16mm, presa diretta, montaggio frenetico.
Anche negli Stati Uniti l’onda lunga di queste innovazioni contamina il proprio cinema. All’inizio è Bonny e Clyde di Arthur Penn a introdurre una violenza brutale, seguito da Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah.
Negli stessi anni, tra il 1967 e il 1968, arrivano sugli schermi Easy Rider di Dennis Hopper e Peter Fonda, Il laureato di Mike Nichols e, nel 1971, Il braccio violento della legge di William Friedkin, pellicole che sovvertono lo stile codificato e irrompono come un terremoto negli studios. Come racconta Peter Suskind nel imprescindibile Easy Riders Raging Bulls, tra il 1967 e il 1979 i tycoon cedono il loro potere produttivo ai registi. E’ un decennio d’oro per il cinema americano che corrisponde alla nascita di quelli che verranno definiti dalla stampa specializzata i Movie Brats, i ragazzi terribili. Francis Ford Coppola, George Lucas, Steven Spielberg, Martin Scorsese, Brian De Palma.

Dei cinque autori Brian De Palma, italo americano di Newark, New Jersey, è il più sottovalutato ma anche il più incline alla sperimentazione. Come i suoi amici ha studiato cinema, ama i classici e vuole rivisitarli alla luce del nuovo linguaggio emerso in quegli anni. Hitchcock è il regista più amato. In un’intervista rilasciata alla rivista The House of Hammer nel 1977 così spiegava la sua sua ammirazione per il maestro del brivido inglese: “Per me Hitchcock è una grammatica. Ha sviluppato una certa grammatica del film, che io sto imparando a usare. Ciò che ho fatto con Sisters e Obsession è stato utilizzare le premesse dei film che ha fatto lui, ma cercando di raccontare storie differenti. Hitchcock è un maestro, un gigante: ha fatto un mucchio di capolavori. Io l’ho solo usato, in un certo senso, come punto di partenza da cui sviluppare le mie capacità tecniche.” 

Dopo gli sperimentali Ciao America! e Hi Mom!, ispirati alla nouvelle vague godardiana, De Palma crea delle pellicole che rivisitano per l’appunto il cinema hitchcockiano con uno stile survoltato. Ricordiamo nell’ordine Sisters (Le due sorelle), Obsession (in italiano Complesso di colpa), sorta di remake de La donna che visse due volte, ma sopratutto Vestito per uccidere, Dressed to kill, omaggio al capolavoro più amato del genio del brivido, Psycho.


Brian De Palma sul set

Vestito per uccidere esce nel 1980, a poche settimane di distanza da un altro classico del cinema dell’orrore, Shining di Stanley Kubrick. De Palma è reduce dal successo di Carrie lo sguardo di Satana, adattamento cinematografico del primo romanzo di Stephen King, e gode della stima della critica e del pubblico anche per avere diretto il cult Il fantasma del palcoscenico, opera rock horror divenuta con gli anni di culto. 

Tra Psycho di Alfred Hitchcock e Vestito per uccidere di Brian De Palma esistono 20 anni di distanza. Dal punto di vista formale il film del regista italo americano è molto più moderno di quello di Hitchcock, eppure il suo contenuto è considerato retrogrado, legato a idee di violenta disforia di genere, in parte sovrapponibili alle polemiche sorte nel 1960 a proposito del finale di Psycho e della discutibile spiegazione che lo psichiatra dava della patologia di Norman Bates.

Non c’è modo di parlare di Vestito per uccidere senza rivelarne il finale e non c’è stato un solo momento nel quale le controversie e le discussioni in questi 40 anni non abbiano accompagnato il film, definito uno slasher, un’opera misogina, un esempio di transfobia cinefila. Per i fan del regista di Scarface, Gli intoccabili e Carlitos’ way (per citare i suoi tre capolavori)  questo è il film preferito, una provocazione deliberata che riflette e sfida le norme culturali dell’epoca. 


Il Poster americano


Dressed to kill è una storia di sdoppiamento nella quale i personaggi sono in guerra con se stessi. Fin dalla prima scena, una doccia sensuale che si tramuta in un amplesso quasi pornografico, De Palma imposta il film sul filo del rasoio tra desiderio sessuale e violenza omicida. Angie Dickinson, nei panni di Kate Miller, è una sorta di alter ego di Marion Crane in Psycho, in questo caso una casalinga di mezza età in cerca di avventure sessuali. Il Norman Bates di questa storia non è reale ma è evocato dalla immaginazione della donna, come se il piacere che cerca in maniera compulsiva sia qualcosa di proibito e degno di una punizione esemplare. La frustrazione sessuale di Kate è l’argomento principale degli incontri con il suo terapeuta, il dottor Elliott, interpretato da un ambiguo Michael Caine.
Le oscure fantasie della protagonista sono destinate a tramutarsi in realtà, non prima però che De Palma si sia scatenato in una sequenza magistrale, ambientata in un museo, nella quale rievoca da par suo le atmosfere di un altro grande classico hitchcockiano, Vertigo. Durante una visita pomeridiana al Metropolitan Museum di New York, Kate inizia a flirtare senza parole con un affascinante sconosciuto, potenzialmente minaccioso. Mentre la donna e lo sconosciuto giocano al gatto col topo nelle sale del Metropolitan, De Palma trasforma il museo in un vertiginoso labirinto di stanze. Un paio di guanti diventa una forma di invito cavalleresco, e alla fine della scena, sulla partitura sensuale di Pino Donaggio (una citazione esplicita a Bernard Herrmann), un guanto è recuperato dallo sconosciuto e l'altro da un misterioso individuo di cui non vediamo le fattezze che ucciderà la donna.

La punizione che il regista infligge alla sua star non avviene nella doccia ma nell’ascensore, subito dopo un amplesso. Un assassino biondo in trench e cappello nero (una reminiscenza argentiana)  ha seguito fin lì Kate per ucciderla. Così, a metà film, il pubblico perde la sua protagonista, proprio come in Psycho.
A questo punto De Palma introduce una seconda figura femminile, Liz (interpretata dalla moglie Nancy Allen), immagine speculare di Kate. Laddove quest’ultima è una casalinga repressa, Liz è una escort d’alto bordo, a suo agio nell’offrire il suo corpo a clienti danarosi. La prostituta scopre per caso il corpo della vittima e identifica il suo aggressore attraverso un riflesso in ascensore, mettendo così la sua vita in pericolo.
Da questo momento Vestito per uccidere si tramuta in un giallo nel quale assume un ruolo centrale il figlio nerd di Kate, Peter, interpretato da Keith Gordon. Convinto che uno dei pazienti del dottor Elliott sia il responsabile dell'omicidio il giovane s’improvvisa investigatore e, con l’aiuto della ragazza, scopre la verità.

Angie Dickinson


Il film è un thriller sofisticato, attraversato da sequenze di soft porno, ed è suddiviso in due parti. Mentre la prima è un pezzo di cinema magistrale, la seconda ha uno svolgimento banale anche se illuminata da momenti folgoranti come l’inseguimento nella metropolitana tra Liz e il killer. La disorganicità del film tuttavia sembra creata ad arte per disorientare lo spettatore attraverso improvvise scene shock. 

Questo dualismo percorre tutto il film. Ci sono doppi ovunque in Vestito per uccidere: due donne, due guanti, due scene di doccia, due bionde che seguono Liz. Lo schermo stesso è diviso tramite lo split screen che raddoppia l’inquadratura, sottolineando così la duplicità della storia. 

Anche l’omicida ha una personalità duplice che si esplicita nel dottor Elliott e in Bobbi. Uno è un terapista che ha represso i suoi impulsi, l’altro è un oscuro figuro con la parrucca che entra in azione ogni qualvolta il medico si sente eccitato. 

Il film è dunque un’ossessione racchiusa tra due incubi, quello d’apertura e quello che conclude la storia. E’ indubbio che De Palma sia affascinato dal tema della multipla personalità, presente in tutta la sua opera, da Le due sorelle a Carrie, passando per Omicidio a luci rosse (in inglese Body Double) a Doppia personalità fino a Femme Fatale.
Non c’è modo di aggirare la discutibile associazione tra la transessualità e la schizofrenia, nonché l’utilizzo della violenza estetizzata. Sono temi caldi agli inizi degli anni ‘80 che investono anche un altro importante lavoro, anch’esso ambientato a New York e diretto da William Friedkin, Cruising con Al Pacino nei panni di un detective incaricato di investigare sull’omicidio di un gay. 

Anche se Vestito per uccidere è stato accusato per anni di misoginia ci pare che l’accusa, alla luce del suo quarantennale, sia ingiusta. Oltre ad essere un eccellente esercizio di stile Dressed to kill parla, infatti, degli oscuri istinti puritani dell’America, conosciuti bene dal regista italo americano, cresciuto in una famiglia cattolica, la cui formazione, come quella del suo mentore Hitchcock, ha contribuito a forgiare una filmografia basata sul peccato, la colpa e l’espiazione.


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American Gigolò e Cruising. Il cinema americano anni ‘80 tra Eros e Thanatos.

L’inizio degli anni ‘80 coincide con l’uscita nelle sale di due opere che affrontano il tema del sesso da due angolazioni opposte suscitando...