domenica 26 luglio 2020

Woody Allen. Cronistoria di un genio. Quarta Parte. Woody a pezzi.

Nel 1989 uno dei maggiori successi commerciali è Harry ti presento Sally, brillante ricalco di Io e Annie, diretto da Rob Reiner, a riprova che la commedia è sempre stato il genere più amato dal pubblico. Allen, invece, fedele alla sua linea editoriale che lo porta a cambiare di anno in anno la sua filmografia, presenta Crimini e Misfatti, una delle sue opere più complesse. Il dramma, venato di umorismo, ha come protagoniste due coppie di fratelli: da un lato Judah (Martin Landau, premio Oscar per questa interpretazione), famoso oculista,  e Jack (Jerry Orbach), un malavitoso di mezza tacca che aiuta il dottore a sbarazzarsi di un ingombrante amante (Anjelica Huston) che rischia di mettere a repentaglio il suo matrimonio. Dall’altro abbiamo, invece, il rabbino Ben (Sam Waterston) e il celebre comico miliardario e dall’ego ipertrofico Lester (interpretato da Alan Alda). 
Allen si ritaglia il ruolo del documentarista Cliff, costretto per motivi alimentari a girare un documentario sul comico, innamorato della produttrice Halley (Mia Farrow), apparentemente invaghita del regista ma che poi sceglie il più sicuro corteggiamento di Lester. Ognuno di questi personaggi si trova ad affrontare dilemmi morali e religiosi. Con Crimini e Misfatti il regista saluta un decennio fecondo nel quale ha diretto alcune pellicole fondamentali. Da questo momento, complice la sua relazione sempre più controversa con Mia Farrow, il suo lavoro seguirà una parabola discendente, caratterizzata da opere più compiute e altre meno riuscite.

Crimini e Misfatti

Quando nel 1983 Ingmar Bergman ritirò il premio alla carriera al Festival di Venezia annunciò il suo ritiro dichiarando che non voleva realizzare film nei quali Bergman faceva Bergman. Il maestro svedese rifuggiva così dal rischio di divenire estetizzante e soprattutto ripetitivo, un rischio nel quale molti autori sono caduti, Fellini in primis. Anche per Allen è valido questo ragionamento. Pur essendo mirabile il tentativo di girare un film all’anno, la lunga lista di opere inanellate dal 1990 a oggi è una sequela di opere simili tra loro nell’impianto narrativo, alcune più brillanti di altre. A riprova di ciò ci viene in soccorso la stessa autobiografia del regista nella quale egli si sofferma a descrivere i suoi film dedicando un paio di righe a titolo, senza in realtà avere nulla d’interessante da commentare, salvo evidenziare più volte il tema di avere seguito un metodo per tenersi sempre impegnato. 
Sarebbe tuttavia ingeneroso liquidare così 30 anni di carriera, pertanto provo a segnalare le pellicole più interessanti.
Mariti e mogli, l’ultimo lavorato realizzato con la Farrow, è un condensato di nevrosi e inquietudini su un rapporto di coppia giunto al capolinea. Lo stile nervoso e le riprese effettuate con la macchina da presa a spalla ne fanno uno dei film più dolorosi del regista soprattutto perché realizzato nel pieno della crisi sentimentale con l’attrice.
Uscito a pezzi dalla relazione con la Farrow, Allen reagisce allo scandalo suscitato dalla sua relazione con la figlia adottiva Soon-Yi e alle accuse di molestie sessuali verso l’altra figlia Dylan, gettandosi a capofitto nel lavoro. Misterioso omicidio a Manhattan e Pallottole su Broadway sono un dittico riuscito nel quale l’autore dirige rispettivamente un giallo hitchcockiano con venature farsesche e una commedia in costume dai dialoghi brillanti.
Non altrettanto riusciti sono La dea dell’amore e Tutti dicono I Love You, due commedie piuttosto deboli nonostante il cast prestigioso. Dalla metà degli anni ‘90 al 2005 Allen gira una serie di pellicole decorose ma che non aggiungono nulla alla sua già prestigiosa filmografia: Harry a pezzi, Celebrity, Accordi e disaccordi, Criminali da strapazzo, La maledizione dello scorpione di giada, Hollywood Ending, Anything Else e Melinda e Melinda, sembrano accompagnare l'artista sul viale del tramonto. Tuttavia nel 2005 Woody stupisce tutti con una pellicola coesa e vibrante, Match Point, un Delitto e Castigo di ambientazione londinese, imbevuto dei romanzi di Graham Greene e Patricia Highsmith, con un cast in stato di grazia. 

Jonathan Rhys Meyer e Scarlett Johansson in Match Point

Jonathan Rhys Meyer, Scarlett Johansson e Emily Mortimer sono il terzetto di amanti la cui vita è sconvolta dal delitto che il tennista fallito Chris compie per liberarsi di una invadente fidanzata e impalmare una ricca ragazza dell’upper class. Match Point è una perla che lascia sperare in una rinascita del genio alleniano ma i film successivi smentiscono le aspettative. 
Scoop, Sogni e delitti, Vicky Cristina Barcelona sono opere mediocri con attori di primo livello del calibro di Ewan McGregor, ancora Scarlett Johansson, Javier Bardem e Penelope Cruz. Basta che funzioni è, invece, una comedy che rievoca l’ambiente degli stand up comedian nella quale il comico televisivo Larry David interpreta Allen stesso. 
Nella lunga sequela di titoli inanellati nel XXI secolo due menzioni speciali spettano a Midnight in Paris e Blue Jasmine. La prima è una commedia ambientata in una Parigi magica nella quale si perde il protagonista, un trasognante Owen Wilson, trasportato nella Parigi degli anni ‘20 dove incontra alcuni dei suoi miti artistici. La seconda è un dramma al femminile su cui svetta una sublime Cate Blanchett, vincitrice dell’Oscar, nei panni di una donna in crisi che cerca di rifarsi una vita trasferendosi da New York a San Francisco.
Gli ultimi scampoli del genio sono indirizzati verso risultati modesti come To Rome With Love (senza ombra di dubbio il suo film meno riuscito), Magic in The Moonlight (un altro fallimento), Irrational Man e Café Society
Siamo così arrivati alla sua ultima opera, Un giorno di pioggia a New York, dalla quale eravamo partiti per ripercorrere la carriera di Woody Allen. A 84 anni, sotto il peso dei nuovi attacchi mediatici per la storia di molestie sessuali ritirata fuori dai media in pieno Mee Too, Allen sembra essere ormai al capolinea della sua carriera cinematografica. Il suo accordo per cinque film con Amazon è stato rescisso dalla major e la sua attesa ma deludente autobiografia ripercorre in maniera svogliata la sua opera, impegnando centinaia di pagine a difendersi dall’accusa di molestie. 
E’ una fine ingloriosa per uno dei grandi del cinema statunitense ma Allen ha dimostrato nel corso della sua lunga carriera di poter riservarci delle nuove sorprese.

Podcast Woody Allen. Prima Parte

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lunedì 20 luglio 2020

Woody Allen. Cronistoria di un genio. Terza Parte. All’apice del successo.

Con Io e Annie Woody Allen abbandona la slapstick comedy per dedicarsi a una storia romantica, innervata da un umorismo raffinato con una vena di malinconia. Io e Annie è l’opera della svolta, che trasforma Allen da autore comico ad artista a tutto tondo, un cineasta che d’ora in avanti non farà mai due volte lo stesso film e che imporrà alla propria filmografia un ritmo forsennato, con la media di una pellicola all’anno per oltre 40 anni. 
Io e Annie è la storia di una coppia che si incontra, si ama e si lascia, proprio come sette anni prima avevano fatto nella vita i due protagonisti. La Keaton, all’anagrafe Diane Hall (per la cronaca nel film il suo personaggio ha lo stesso cognome), interpreta sullo schermo se stessa: la sua sognante eccentricità, il suo gusto per la moda, la sua passione per la fotografia, le aspirazioni da cantante e il sogno di fuggire a Hollywood, sono tutti tratti distintivi della sua reale personalità. In modo analogo, Allen è sullo schermo Alvy Singer, un comico ebreo newyorkese pieno di fobie, una sorta di alter ego del regista, ossessionato dalla morte e dalle donne. Fin dall’incipit, nel quale il protagonista confessa allo spettatore le sue inquietudini, è evidente il tratto autobiografico dell’opera. La brillante sceneggiatura, co firmata da Marshall Brickman, sfrutta anche momenti personali dell’infanzia del regista e del suo controverso rapporto con la madre. A differenza dei lavori precedenti Io e Annie è anche formalmente perfetto, grazie a dieci mesi di riprese e alla maestria del direttore della fotografia Gordon Willis, già autore delle riprese de Il Padrino, soprannominato il re dell’oscurità, che regala alla pellicola una luce calda e avvolgente. All’inizio, la durata complessiva della storia supera le due ore ma l’intervento del montatore Ralph Rosenblum la porta a un’ora e mezzo, concentrando l’attenzione solo sulla romantic comedy. Woody Allen vorrebbe titolare il film Anhedonia (in greco assenza di piacere) ma i produttori, terrorizzati all’idea, lo convincono per il più rassicurante Io e Annie. La pellicola si rivela un grande successo di critica e di pubblico e il 29 marzo del 1978 conquista a Hollywood 4 Oscar, Miglior Film, Miglior Regia, Migliore Sceneggiatura, Migliore attrice a Diane Keaton. Allen, disinteressato alle competizioni, non si presenta alla cerimonia e suona quella sera al Michael’s Pub di New York.
Fedele alla sua nuova idea di cinema con Interiors il regista fa un salto quantico, abbandonando la comicità per dedicarsi a un dramma di ispirazione al contempo cechoviana (in particolare Tre Sorelle) e bergmaniana (Sussurri e grida è il riferimento) che narra la storia di tre sorelle dominate da una madre oppressiva. Allen mira alto, per sua stessa ammissione, ma il pubblico diserta in massa l’opera che è un flop colossale. 
Scottato dall’insuccesso, l’artista torna alla commedia romantica con quello che è considerato da molti il suo capolavoro, Manhattan. Ancora una volta egli pesca dalla sua biografia per raccontare le vicende di un autore televisivo, Isaac Davis, diviso tra l’amore per la sua città e le vicende amorose che lo vedono combattuto tra l’ingenua sedicenne Tracy (una delicata Mariel Hemingway), la nevrotica Mary (ancora una volta Diane Keaton), e la sua ex moglie lesbica (interpretata da una giovane Meryl Streep) con la quale ha un rapporto conflittuale che preconizza sullo schermo quello con Mia Farrow. 
Il mix tra commedia, romanticismo e umorismo è qui al suo meglio, merito del copione, scritto insieme al fido Brickman. Il tutto è fotografato in un magnifico bianco e nero anamorfico da Gordon Willis e commentato dalla splendida Rhapsody in Blue di George Gershwin. Il riscontro del pubblico è buono, quello con la critica controverso. In particolare Pauline Kael del New Yorker critica la storia d’amore tra il protagonista e la minorenne, altro elemento che tornerà una decina di anni dopo nell’annosa indagine per molestie intentata all’autore. Alcuni giornalisti commentano inoltre la differenza tra la vita del suo protagonista sullo schermo, scarna ed essenziale, e la vita privata di Allen da jet set, tra Rolls Royce e feste di capodanno strepitose. “Spesso quello che il signor Allen dice è diverso dal modo in cui vive in realtà” gli rimprovera Tony Schwartz sul New York Times.

Manhattan
Manhattan

Nel 1980 Woody Allen è un regista famoso che vuole distaccarsi dall’etichetta di attore e regista di commedie. Per questo motivo, dopo avere affrontato il dramma con Interiors ci riprova con Stardust Memories, spudorata versione in chiave statunitense di 8 ½ di Fellini. Qui, egli è un regista di mezza età in crisi d’ispirazione. Girato in uno splendido bianco e nero dal solito Willis, Stardust Memories è uno zibaldone citazionistico che il regista realizza per se stesso piuttosto che per il pubblico. E anche in questo caso il risultato è scontato: un totale insuccesso in patria e qualche raro estimatore in Europa.
Nello stesso anno si apre la storia d’amore tra Allen e l’attrice Mia Farrow, un’unione artistica e personale destinata, nel bene e nel male, a sconvolgere la vita dell’artista.
Il primo lavoro insieme è del 1982, Una commedia sexy in una notte di mezza estate. Ambientata in una villa in campagna la storia è un rondò amoroso che ottiene un tiepido successo al quale Allen reagisce girando in contemporanea il ben più riuscito Zelig, uno dei suoi film più geniali. In un bianco e nero documentaristico Zelig racconta la vicenda di un uomo che per compiacere gli altri ed essere accettato è in grado di rivestire molteplici personalità, passando con disinvoltura dal politico al musicista, dal rabbino ebreo al cantante di colore. Zelig è un tripudio di invenzioni visive che mescola alla fiction immagini d’archivio e interviste a personalità come Susan Sontag e Bruno Bettelheim. Per rendere verosimile la vicenda, ambientata negli anni ‘30, Gordon Willis utilizza cineprese d’epoca. E’ evidente che con questo lavoro Allen affronta il tema dell’identità ebraica. Zelig il camaleonte si trasforma per fondersi con la massa, per sfuggire a uno sguardo che esclude e distingue. Essere polimorfo egli è una variazione dell’ebreo errante. 
Il successivo lavoro è altrettanto geniale: Broadway Danny Rose del 1984 rievoca gli esordi di Allen come stand up comedian ed è ambientato nel sottobosco dello spettacolo. Il regista interpreta un agente di comici mediocri innamorato della sciocca Tina (la Farrow), vedova di un mafioso. La commedia è irresistibile, al pari de La Rosa Purpurea del Cairo, da Allen considerato il suo film migliore. Qui siamo nella Brooklyn degli anni ‘30 e Cecilia è una cameriera che annega le sue delusioni nel cinema. La sua vita si trasforma quando il suo divo del cuore (interpretato da un giovane Jeff Daniel) esce letteralmente dallo schermo per unirsi a lei in una storia d’amore impossibile tra finzione e realtà. L’opera, osannata dalla critica, attira uno scarso pubblico in America mentre riscuote un grande successo in Europa. 
Nel 1986 è la volta di Hannah e le sue sorelle, ritratto di un gruppo di donne, una storia  di amore e rivalità tra due sorelle e la madre. Il film si avvale di un cast eccellente guidato da Mia Farrow, affiancata da Dianne Wiest e con la partecipazione di Michael Caine. E’ anche il primo lavoro senza Gordon Willis dietro la macchina da presa, sostituito da Carlo Di Palma, operatore storico di MIchelangelo Antonioni. Hannah e le sue sorelle è un successo unanime di critica e di pubblico, ottiene sette nomination all’Oscar e ne conquista 3, Migliori attori a Michael Caine e Dianne Wiest e migliore sceneggiatura originale allo stesso Allen.

Le molteplici personalità di Zelig
Le molteplici personalità di Zelig

Film gemello de La Rosa Purpurea del Cairo, Radio Days è il titolo più personale nella filmografia alleniana e ripercorre le vicende del piccolo Joe (Seth Green) durante gli anni ‘40 a Brooklyn, l’epoca d’oro della radio. L’operina è un mosaico composto da quasi 200 parti, mirabilmente intrecciate tra loro, dove episodi malinconici si alternano ad altri più divertenti per raccontare l’elegiaca infanzia del regista, cui fa da contrappunto una partitura musicale d’epoca.
Settembre è, invece, un ritorno alle atmosfere bergmaniane e al rapporto distruttivo tra madre e figlia, un tema centrale nell’opera del maestro svedese. Il regista è così meticoloso che decide di girare il film due volte, non essendo soddisfatto del terzetto di interpreti iniziale, composto da Mia Farrow, Maureen O’Sullivan, madre dell’attrice anche nella vita reale, e Christopher Walken. Allen alla fine sostituisce quest’ultimi con Elaine Stricht e Sam Shepard ma nonostante il perfezionismo il risultato non è all’altezza delle sue opere migliori.
Nel 1988 il regista collabora con Sven Nykvist, direttore della fotografia di Bergman, per Un’altra donna, ritratto al femminile di una giovane donn-a in gravidanza (la stessa Farrow in attesa di Satchel) e una donna matura, cui presta il volto Gena Rowlands. Questo nuovo affresco umano si rivela uno dei migliori lavori intimisti di Allen.
Alla fine degli anni ‘80 la carriera di questo poliedrico artista ha già affrontato numerose svolte ma l’ultimo film del decennio è una vera gemma drammaturgica: Crimini e Misfatti.

Podcast Woody Allen. Prima Parte

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domenica 12 luglio 2020

Woody Allen. Cronistoria di un genio. Seconda parte. Dal Cabaret al Cinema.

Nella puntata precedente avevamo lasciato il giovane Allan Konigsberg alle prese con il suo nome d’arte, ideato per dedicarsi a tempo pieno alla carriera di autore comico. Dalla carta stampata alla radio il passo è breve. Woody Allen inizia a scrivere per Herb Shriner, un comico molto popolare e apprezzato, con un umorismo radicato nell’America profonda. A 18 anni guadagna il triplo di quello che i suoi genitori si possono permettere. La sua carriera conosce un passo importante in avanti quando il ragazzo accetta di fare parte di un programma di formazione per giovani scrittori, organizzato dalla NBC. Il ragazzo firma un contratto capestro di sette anni per 175 dollari alla settimana. 
Nello stesso periodo conosce Harlene, una studentessa diciassettenne che decide di sposare. Il matrimonio è un disastro, i due novelli sposi non vanno d’accordo su nulla e vivono in un minuscolo appartamento al piano terra tra Park Avenue e la 61esima litigando tutto il giorno. E’ in quel periodo che Allen si trasferisce a Los Angeles per tentare di risollevare gli ascolti del programma televisivo Colgate Comedy Hour. La permanenza nella città degli Angeli permette all’autore di frequentare alcuni degli sceneggiatori più celebri della storia del cinema, dai fratelli Danny e Neil Simon, a Mel Brooks. Allen si fa le ossa imparando il mestiere e, anche se non riesce a risollevare i ratings dello show, quei sei mesi sono una tappa fondamentale nella sua formazione culturale. E’ in quei giorni, infatti, che impara ad affinare il suo stile, a non essere competitivo con i colleghi e, cosa più importante, a fidarsi del suo giudizio. Allen impara un metodo di lavoro che non lo abbandonerà mai: scrive dalle nove di mattina alle sei del pomeriggio, senza staccare mai. Un sistema stakanovista che lo forgerà nella mente e nello spirito. 
Un altro incontro determinante è quello che ha con lo stand up comedian Sid Caesar, che lo assume per aiutarlo a scrivere le sue battute. Quando finalmente il contratto con Harvey Meltzer scade, Allen ha compiuto 22 anni e si affida a uno degli agenti più scaltri di New York, Jack Rollins, già rappresentante di Harry Belafonte, che, in coppia a Charlie Joffe, produrrà tutte le pellicole più importanti del regista.
A questo punto c’è una svolta nella carriera dell’artista. Nonostante il successo televisivo e il benessere economico, Allen lascia la televisione per diventare uno stand up comedian. E’ stato folgorato da uno spettacolo live di Mort Sahl, uno dei più grandi performer dell'epoca. Incoraggiato dal suo agente, Woody molla tutto e scrive uno spettacolo. Il suo debutto avviene al Blue Angel, il locale più trendy degli Stati Uniti. Lo spettacolo funziona, il pubblico ride, ma a Jack Rollins questo non basta. Per lui il giovane artista non è ancora a suo agio sul palcoscenico, così lo obbliga ad esibirsi gratis per un paio di anni in un piccolo locale di New York, il Duplex. Lì ci sono anche Garry Marshall (l’inventore di Happy Days, nonché futuro regista di Pretty Woman), David Panich e Mel Brooks. Insomma, un buco molto speciale dove farsi le ossa a fianco di alcuni dei geni della comicità USA. 
Nel frattempo la vita coniugale va a rotoli. Allen divorzia da Harlene dopo avere conosciuto una bionda esplosiva, Louise Lasser, figlia di una famiglia altolocata di New York, afflitta da disturbi bipolari. Il comico la sposa e passa otto anni infernali tra alti e bassi fatti di euforia e depressione.
E’ questo il periodo nel quale Allen inizia a frequentare il lettino dello psicanalista. La terapia, che seguirà per decenni, serve al regista per affrontare il suo rapporto traumatico con una madre oppressiva (rappresentata in Radio Days) e il suo rapporto instabile con le donne. La cura, per stessa ammissione di Allen, non servirà a granché, considerando la quantità impressionante di fidanzamenti, relazioni, matrimoni e divorzi che il cineasta avrà con donne nevrotiche e instabili emotivamente. 

Woody Allen in Prendi i soldi e scappa.

La carriera da cabarettista intanto è decollata. L’attore si esibisce in tutti i locali alla moda degli Stati Uniti e consolida la sua fama di comico intelligente e spregiudicato. Ha capito che per far ridere deve sfruttare la sua presenza fisica in scena, suggerendo un ideale collegamento tra i testi - nei quali è un ebreo newyorkese, roso dalla nevrosi e perseguitato dalle disgrazie - e il suo aspetto fragile, i grandi occhiali, la pelle lentigginosa.
Una sera a New York sono presenti a un suo spettacolo il produttore Charley Feldman e la giovane star Warren Beatty, divenuta celebre nel 1961 con Splendore nell’erba di Elia Kazan. I due restano talmente impressionanti dalla performance dell’attore che lo assumono per la sceneggiatura della commedia Ciao Pussycat. Allen accetta ma il film subisce da subito innumerevoli traversie. Dapprima Beatty rinuncia alla pellicola, stanco dei continui cambiamenti al copione. Al suo posto è ingaggiato Peter O’Toole, reduce dal successo di Lawrence D’Arabia, il quale è poi affiancato dal comico inglese Peter Sellers, che domina il regista, il modesto Clive Donner. Il film deve essere girato a Parigi ma per problemi produttivi si sposta a Roma per poi tornare nella Ville Lumiére. Il copione cambia in continuazione e il risultato è un film mediocre. Il primo incontro con il cinema lascia dunque a Woody Allen un sapore amaro in bocca anche se il film è un notevole successo commerciale che permette all’autore di iniziare a lavorare a un secondo lavoro, tratto dal giapponese Kagi No Kagi che nell’edizione italiana diviene Che fai rubi? Anche in questo caso Allen disprezzerà il risultato finale ma anche stavolta la pellicola è un hit al botteghino. Il problema del controllo dell’opera si pone di nuovo con il delirante James Bond 007 - Casino Royale. Il film è tratto dal primo romanzo di Ian Fleming dedicato all’agente segreto 007. Per una questione complessa, legata ai diritti cinematografici, i produttori Harry Saltzman e Albert Broccoli hanno acquisito l’esclusiva su tutti i romanzi dello scrittore inglese tranne il primo. Dovremo aspettare 40 anni per vederlo sullo schermo in una delle migliori trasposizioni cinematografiche della saga, esordio di Daniel Craig nei panni della spia britannica. Nel 1966, però, i diritti sono di Charlie Feldman che vuole farne una versione comedy. Ancora una volta è chiamato Woody Allen a sceneggiare l’orrido pastiche, affiancato da altri 9 sceneggiatori. Il cast vede avvicendarsi sullo schermo Orson Welles nei panni del villain e altri sodali come Peter Sellers, David Niven - nel ruolo di 007 - e lo stesso Allen, nei panni del cattivo Noah. Per dirla con le parole di Allen: “Casino Royale è un’altra esperienza cinematografica terrificante.

Woody Allen in Casino Royale

Nel frattempo l’artista si consola con il teatro mettendo in scena Don’t Drink The Water, scritta a Parigi durante le riprese di Ciao Pussycat. La commedia è presentata a Broadway, al Morosco Theatre, e supera le 590 repliche. E’ il momento della consacrazione: Allen ottiene un ritratto sulla rivista Life, si riconcilia coi genitori, adesso orgogliosi del successo del figlio, e si prepara ad esordire alla regia. 
Nel 1968, all’età di 33 anni, passa così dietro la macchina da presa. La storia è tratta da una sua sceneggiatura, Prendi i soldi e scappa, venduta qualche anno prima a Feldman. Poco prima di morire, il tycoon trova un partner produttivo nella United Artists e finalmente le riprese possono partire. Prendi i soldi e scappa è un mockumentary che in stile documentaristico racconta le vicende di un rapinatore da quattro soldi, Virgil Starkwell (interpretato dallo stesso Allen), un personaggio maldestro, ossessionato dai soldi e dalle donne. Un omaggio alle commedie slapstick dei fratelli Marx e alla poetica di Chaplin, soprattutto nel tenero rapporto d’amore tra Virgil e Louise (interpretata dall’attrice Janet Margolin). La pellicola anticipa nello stile uno dei capolavori successivi, Zelig del 1983. Oramai Allen tramuta in oro tutto ciò che tocca: anche Prendi i soldi e scappa si rivela un successo e il regista torna a una sua grande passione, il teatro. Nella commedia Play It Again Sam (in italiano Provaci ancora Sam), al cinema diretta poi da Herbert Ross, Allen interpreta la parte di Allan Felix, un sognatore innamorato della donna del suo migliore amico, che accetta consigli dal mitico Humphrey Bogart. Per la parte di Linda Allen sceglie una giovane ventiquattrenne, Diane Keaton. Sconosciuta al grande pubblico, la Keaton si è appena trasferita dalla California a New York per studiare canto e danza. L’incontro con la ragazza da il colpo di grazia alla controversa relazione con Louise Lasser. La coppia divorzia in Messico nel 1970, tuttavia il regista continuerà per molto tempo a essere ossessionato dalla donna, alla quale affiderà ruoli di contorno ne Il dittatore dello Stato libero di Bananas e in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere. La personalità autodistruttiva della Lasser eserciterà dunque un fascino duraturo su Woody Allen che la reinventerà nella Charlotte Rampling di Stardust Memories, nella Christina Ricci di Anything Else e nella Scarlett Johansson di Match Point, tutte donne seducenti capaci di svalutarsi fino a rasentare l’isteria sprofondando nella dipendenza da droga e alcol.

Woody Allen e Diane Keaton in Provaci ancora Sam

Allen, all’apice della popolarità guadagna un milione di dollari a film e corona il suo sogno di andare a vivere a Manhattan, acquistando un lussuoso attico. Il suo secondo lavoro come regista è Il dittatore dello stato libero di Bananas, una parodia politica incentrata su un certo Fielding Mellish che per amore della sua donna, una militante politica, si ritrova suo malgrado nel mezzo di una rivoluzione in America Latina. La storia segue le peripezie tragicomiche di Fielding, un newyorkese codardo, ed è una slapstick comedy che anticipa di decenni il tema della notorietà data dai media. Pur non essendo riuscito come Prendi i soldi e scappa anche Bananas (questo il titolo originale) ottiene un grande riscontro di pubblico che permette ad Allen di passare a un nuovo progetto. 
Pur essendo terminata la relazione amorosa con Diane Keaton, tra i due artisti permane una profonda stima che li porta a collaborare di nuovo insieme in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere,ispirato a un saggio scientifico del Dottor David Reuben di cui Rollins e Joffe hanno acquistato i diritti, detenuti dall’attore Elliott Gould. La pellicola è suddivisa in episodi nei quali vengono trattati tutti i temi relativi alle relazioni sessuali. Indimenticabile è l’ultimo episodio, Cosa succede durante l’eiaculazione, nel quale Allen recita nei panni di uno spermatozoo. La commedia è un successo strepitoso che spinge Allen nel 1973 ad affrontare un nuovo lavoro, Il dormiglione, ancora una volta a fianco di Diane Keaton. Stavolta la pellicola è una commedia fantascientifica, scritta con la collaborazione di Marshall Brickman, che vede Allen, nei panni di Miles Monroe, proprietario di un ristorante vegano, Il Sedano Allegro, risvegliarsi dopo un’anestesia nel 2173. Gli Stati Uniti nel frattempo si sono trasformati in una dittatura governata da un Grande Leader. Per sfuggire alla polizia, Miles finge di essere un robot e viene preso in casa della facoltosa Luna (Diane Keaton) alla quale si unirà nella lotta alla tirannia. Il Dormiglione trionfa al botteghino e spinge l’artista a una nuova commedia, Amore e Guerra, geniale parodia dei classici russi che Allen tanto ama. Stavolta la vicenda si svolge nella Russia invasa da Napoleone dove Allen interpreta i panni del conte Boris che in segreto ama la cugina Sonja (ancora una volta la Keaton), la quale però si è invaghita di suo fratello. Illuminata da Ghislain Cloquet, il direttore della fotografia di Notte e Nebbia di Alain Resnais, Amore e guerra è un’opera nella quale sono chiari i riferimenti letterari e cinematografici che hanno formato Allen, su tutti Ingmar Bergman e il suo Il settimo sigillo, citato in maniera esplicita. Amore e Guerra è il miglior film della prima fase come regista di Allen, il quale, nel 1975, lascia i ruoli da buffone per dedicarsi a opere più serie. Con Marshall Brickman, il suo abituale co sceneggiatore, inizia a lavorare su un soggetto che sarà il primo passo verso la sua maturità artistica, Io e Annie.

Continua...

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domenica 5 luglio 2020

Woody Allen. Cronistoria di un genio.

Woody Allen continua imperterrito - insieme a un altro grande vecchio del cinema americano, il novantenne Clint Eastwood - a sfornare una pellicola all’anno, una media impressionante in fatto di prolificità che gli fa raggiungere, a oggi, la cifra record di  49  lungometraggi tra sceneggiature e regie.
I risultati di questo lungo lavoro nell’ultimo ventennio sono stati caratterizzati da alti e bassi: Midnight in Paris e Blue Jasmine sono stati i punti più alti, Café Society è stato un discreto esercizio di stile, mentre Irrational Man e Magic in Moonlight sono meno riusciti.
In questi ultimi mesi Allen è tornato alla ribalta con due lavori: il primo è il film, Un giorno di pioggia a New York (A Rainy Day in New York), il secondo è la sua attesa autobiografia, A proposito di niente. Entrambi i lavori riflettono l’essenza stessa di Allen, intellettuale e cineasta raffinato. Della sua vita privata, confesso che non me ne importa nulla e concordo con il romanziere Brett Easton Ellis che nel suo ultimo e controverso saggio Bianco ha stigmatizzato questa ondata, spesso insensata, di politically correct.
I detrattori di Allen in questi ultimi anni sono aumentati sempre di più tra i giornalisti, gli addetti ai lavori, e anche tra gli attori. Persino Timothée Chalamet, protagonista del suo ultimo film, ha preso le distanze dal regista per accreditarsi a Hollywood nella corsa agli Oscar 2020. 
Molti sembrano avere dimenticato che Allen è l’autore di capolavori come Io e Annie (Annie Hall) e Manhattan, nonché l’inventore della romantic comedy moderna che ha avuto in Harry ti presento Sally (When Harry Met Sally)  di Rob Reiner la sua imitazione più felice. 
I temi della filmografia di Allen tornano ricorrenti nei suoi lavori, nonostante siano passati oltre 50 anni dal suo primo film Che fai rubi? (What’s Up, Tiger Lily?). Vedere perciò Un giorno di pioggia a New York ci offre l’opportunità di ripercorrere in flashback la sua carriera individuando temi, personaggi e autori ricorrenti nella sua opera.

Un giorno di pioggia a New York


UN GIORNO DI PIOGGIA A NEW YORK
Un giorno di pioggia a New York ha avuto un’uscita in streaming nel mondo, fatta eccezione per alcuni paesi, tra i quali l’Italia, dove ha fatto una fugace apparizione nei cinema grazie alla distribuzione di Lucky Red. Il film doveva essere il primo di cinque lungometraggi prodotti da Amazon ma la società di Jeff Bezos si è poi tirata indietro per l’annosa faccenda legata alle accuse di molestie sessuali alla figlia per le quali Allen è stato processato e assolto più di vent’anni fa. 
Il film non è un disastro come Hollywood Ending, Magic in the Moonlight e From Rome to Love ma è abbastanza superfluo nella infinita filmografia alleniana. 
La storia parte da un soggetto piuttosto esile. Gatsby Welles (il nome richiama l’antieroe di Fitzgerald ed è interpretato da Chalamet) è un eccentrico studente, figlio di un’affermata coppia di newyorchesi, e studia in una piccola università del New Jersey, frequentata dai rampolli dell’alta società di Manhattan. In realtà, più che a studiare Gatsby passa le sue giornate a giocare a poker (è un eccellente giocatore d’azzardo, proprio come Woody Allen nella vita) e a suonare al piano i grandi classici della canzone americana anni ‘30. La sua fidanzata, Ashleigh Enright (interpretata con candore da Elle Fanning), è dell’Arizona e coltiva ambizioni da giornalista. Per il momento lavora al giornale degli studenti ma riesce ad ottenere un’intervista con il celebre regista Roland Pollard (Liev Schreiber). Deve, dunque, recarsi per la prima volta nella grande mela: per Gatsby questa è l’occasione perfetta per accompagnare la ragazza nella sua città nativa e farle scoprire i posti che ama. Le cose però andranno diversamente da come programmato. Per una serie di circostanze, Ashleigh è costretta a seguire il regista, in piena crisi creativa, nel suo girovagare insensato tra sale di proiezione, set deserti e party, mentre Gatsby da solo ciondola nella metropoli sotto una pioggia battente. Anche lui farà numerosi incontri, compreso quello con la sorella di una sua ex, Shannon Tyrell, interpretata da Serena Gomez. Quando i due fidanzati, dopo molteplici peripezie, si ritroveranno al termine del week end Gatsby avrà capito tante cose della sua vita e prenderà una decisione inaspettata. 
Come si evince dalla trama ritroviamo molti temi già affrontati in opere più convincenti: innanzitutto la città, vera protagonista del film, illuminata da Vittorio Storaro, divenuto negli ultimi tempi il direttore della fotografia prediletto da Allen. Poi l’amore per la musica jazz, altro pilastro dell’immaginazione del regista, e, infine, i numerosi riferimenti letterari, disseminati qua e là, a cominciare dal nome del suo protagonista, novello Fitzgerald, insicuro del suo destino e annoiato dalla sua facile ricchezza. Fa un effetto strano ritrovare i temi di una vita, decisamente fuori registro rispetto all’epoca frenetica e tecnologica in cui viviamo. I personaggi, interpretati da giovani star, compresa la Gomez, divetta di Disney Channel, recitano dialoghi al di sopra delle loro capacità intellettive ma questa è la trasposizione ideale della giovinezza vista da un ottantaquattrenne.
Quest’ultimo rimescolamento di temi non è così male, tuttavia la dissolvenza in nero con la quale si chiude il film mi è apparsa di una tristezza indicibile, una sorta di rimpianto per il passato.

Woody Allen

INFANZIA & ADOLESCENZA
A questo punto facciamo un passo indietro e parliamo della vita di Woody, partendo proprio dalla sua autobiografia, A proposito di niente, pubblicata in Italia da La nave di Teseo.
Allan Koenigsberg (questo il vero nome del regista) nasce il 1 dicembre del 1935 a New York, per l’esattezza a Brooklyn, da una famiglia ebrea. Il padre è un avventuriero che vive d’espedienti: la madre è una donna forte che dirige con piglio energico la vita della famiglia in ogni suo aspetto. Il piccolo Allan cresce in un ambiente dominato dalla cultura ebrea anche se i suoi genitori vi aderiscono più per convenzione che per reale credenza. Il ragazzo non è uno studente modello né tanto meno brillante. Al contrario, vive con fatica le rigide regole scolastiche e quando può si dà malato per dedicarsi ai suoi hobby preferiti, nell’ordine la radio, la musica e le ragazze. Nelle prime pagine del libro, dedicate alla sua adolescenza, ci sono già i temi ricorrenti del regista. La musica di Cole Porter, Irving Berling e Duke Ellington, i grandi interpreti classici del jazz, la comicità di Bob Hope, la radio come strumento di evasione da una Brooklyn  decadente, le ragazze, dalle quali è attratto ma che spesso lo respingono.
A 11 anni Allan fa due scoperte: la prima è il cinema. Il giovane frequenta tutte le sale del quartiere per vedere le commedie classiche degli anni ‘40 con Fred Astaire e Ginger Rogers. Lì si ritrova in un mondo fresco e buio. Dice Allen: “... non vedrò uomini in tuta da lavoro che si alzano all’alba per mungere le mucche ma lo Sky Line di Manhattan al suono di melodie meravigliose composte da Cole Porter o George Gershwin.” Il celebre incipit di Manhattan, uno dei suoi film più belli, è già racchiuso nella mente di un ragazzino. Poi, un giorno d’estate, il padre lo prende con sé per una commissione al di là del ponte e lo porta a Manhattan. La scoperta dell’isola è come un’illuminazione per il futuro regista. “Prendemmo la metropolitana e scendemmo a Times Square, salimmo le scale e ci trovammo all’incrocio tra la Broadway e la quarantaduesima strada. Rimasi senza fiato. Un milione di persone, soldati, marinai. Cinema a perdita d’occhio.”  
Da quel momento ogni occasione sarà buona per recarsi a Broadway e girovagare per le strade, spesso rifugiandosi in piccoli bar dove Allan divora fette di torta alla ciliegia e beve soda, aspettando che i cinema aprano nel pomeriggio.
Un’altra passione del comico è l’illusionismo. Allan si diletta in giochi di prestigio con le mani, ipnotizzando con la sua abilità i parenti ai bar mitzvah e guadagnando così qualche dollaro extra. Ma la vera aspirazione del futuro regista è quella di diventare un musicista jazz. Per anni si esercita al clarinetto con risultati buoni ma non eccellenti. Alla fine, l’artista accantona le sue aspirazioni musicali che diventeranno però un hobby quotidiano nella sua vita futura.
Un’altra passione del ragazzo è scrivere battute. Gli riesce talmente naturale che alcune delle sue freddure vengono pubblicate sul quotidiano locale, il Daily Mirror.
Deciso a continuare su questa strada, Allan si presenta all’agenzia di pubbliche relazioni, la David O. Alber Associates, il cui lavoro consiste nel garantire ai suoi famosi clienti la maggiore pubblicità possibile sui giornali a suon di citazioni fantasiose, comiche e bizzarre per raccontare la loro vita mondana. Per 40 dollari alla settimana Allan è messo sotto contratto dall’agenzia e descrive con battute fulminanti le gesta dei vip di Manhattan. Attratto dai facili guadagni il ragazzo prende due decisioni determinanti per la sua futura carriera. La prima è quella di abbandonare la New York University, dove nel primo anno di corso non si è distinto per solerzia e interesse; la seconda è quella di trovarsi un nome d’arte con il quale firmare i suoi articoli. Decide allora di tramutare il suo nome in cognome - da Allan a Allen - e di affiancargli un nuovo nome, Woody. 
Il primo passo verso la celebrità nasce dunque per caso.

Continua...

Podcast Woody Allen. Prima Parte

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Aggiornamenti ogni lunedì.


venerdì 3 luglio 2020

Due film francesi: Il mistero Henry Pick - Ritratto della giovane in fiamme

Sono disponibili in streaming due pellicole francesi uscite  nelle sale italiane alla fine dell’anno scorso, che dimostrano la vitalità dei cineasti d’oltralpe. 

Il mistero Henry Pick

Il mistero Henry Pick diretto da Rémi Besançon è la trasposizione del romanzo omonimo di David Foenkinos, edito in Italia da Mondadori.
Protagonista è Fabrice Luchini, il Mastroianni francese, tante sono le sfumature che quest’artista ha dimostrato di possedere nella sua lunga carriera, interprete prediletto dei film di Rohmer ne Il ginocchio di Claire (Le genou de Claire) e Le notti di luna piena (Les nuits de la pleine lune).
Ne Il mistero Henry Pick egli interpreta la parte di Jean-Michel Rouche, un critico letterario ispirato al celebre Bernard Pivot, che ogni settimana conduce in televisione una trasmissione dedicata ai libri, proprio come Apostrophe. L’arrivista editor Daphné Despero (Alice Isaaz) ha appena pubblicato un manoscritto ritrovato nella singolare Biblioteca dei libri rifiutati, sita in una piccola libreria della Bretagna. L’autore è un certo Henry Pick, pizzaiolo della cittadina, scomparso da un paio d’anni e che mai nella sua vita ha dimostrato interesse né per la letteratura né tanto meno per Puskin, l’autore russo perno centrale della sua unica opera. I critici gridano al capolavoro ma non Jean-Michel, il quale è talmente convinto di trovarsi di fronte a un fenomeno di marketing che in diretta, nel corso della sua trasmissione, accusa la moglie di Pick e la editor di essere dei truffatori. Licenziato dalla rete televisiva e lasciato dalla moglie, Pick si reca nella cittadina bretone intenzionato a rivelare la truffa. Inaspettatamente, la figlia di Henry Pick, Josephine (Camille Cattin), diventerà sua complice in un’inchiesta semiseria sulle tracce del vero autore del romanzo…
Soltanto il cinema francese poteva fare protagonista di un film un critico letterario e trasformare una storia per addetti ai lavori, nella fattispecie dell’editoria, in un giallo alla Agatha Christie, venato di una dolce malinconia e interpretato da due attori in piena sintonia come Luchini e la Cottin. Il mistero Henry Pick non è un capolavoro ma è una boccata d’aria fresca e intelligente nell’asfittico panorama cinematografico attuale.
Ritratto della giovane in fiamme


Ben più denso e misterioso e il secondo film, Ritratto della giovane in fiamme della regista Cèline Scianna, una storia tutta al femminile che rivendica il diritto alla sessualità da parte della donna, un tema per certi versi simile a un film osannato dalla critica negli anni ‘90, Lezioni di Piano di Jane Campion.
In questo caso ci troviamo di nuovo in Bretagna ma alla fine del XVIII secolo. La pittrice Marianne (Noémie Merlant) è chiamata da una contessa decaduta (Valeria Golino) a dipingere il ritratto della sua secondogenita, promessa in sposa a un nobile milanese. La ragazza, di nome Héloise (Adèle Hanoel) ha già fatto licenziare un pittore che non è riuscito nell’intento di ritrarla. Stavolta però Marianne è ben decisa a portare a compimento l’opera. Fatta spacciare per una dama di compagnia, Marianne si affianca a Héloise nelle sue lunghe passeggiate nella brughiera. Tra le due ragazze si crea un’affinità elettiva che ben presto sfocia in un’attrazione sessuale, allorché la madre parte per l’Italia lasciandole sole con la servante. L’amore sboccia prorompente  in un universo popolato di sole donne, dove l’uomo assurge a ruolo di comparsa,  rozza e inutile. Terminato il ritratto, Marianne dovrà lasciare Héloise ma il ricordo di quell'amore struggente rimarrà per sempre indelebile nella sua memoria.
La regista dimostra di avere  talento per l’immagine (la fotografia è di Claire Mathon) e filma le due donne con viva partecipazione, facendoci trepidare per questo amore segreto. La Scianna non è nuova al tema dell’identità sessuale, avendolo già affrontato in Tomboy. Stavolta però tutto appare calibrato, grazie anche all’interpretazione delle sue attrici. Interessante è l’assenza di una colonna sonora che si riduce soltanto a una nenia in latino, Fugere non possum, cantata da un gruppo di donne durante un rito apotropaico, e alle 4 stagioni di Vivaldi, utilizzato come contrappunto all’estasi sentimentale di Héloise. Il film ha ottenuto il premio alla sceneggiatura al Festival di Cannes del 2019.

American Gigolò e Cruising. Il cinema americano anni ‘80 tra Eros e Thanatos.

L’inizio degli anni ‘80 coincide con l’uscita nelle sale di due opere che affrontano il tema del sesso da due angolazioni opposte suscitando...