venerdì 18 settembre 2020

80 VOLTE ARGENTO

Quando nell’inverno del 1977 andai alla prima di Suspiria, al cinema Metropolitan di Roma, due furono le cose che mi travolsero dal punto di vista emotivo: la violenza primordiale del film e l’utilizzo ossessivo della musica. Leggenda vuole che i primi giorni di programmazione Dario Argento in persona avesse supervisionato l’impianto sonoro e il conseguente volume dei decibel in proiezione. Una cosa è certa: al termine della proiezione si usciva scossi, consapevoli di avere vissuto un’esperienza viscerale. Suspiria rappresenta l’apice della carriera di Argento, un film dalla struttura astratta, che rielabora in modo geniale gli archetipi del passato con la modernità narrativa degli anni ‘70. La pellicola rappresenta un punto inarrivabile nella filmografia argentiana.

Dario Argento

Dario Argento nasce il 7 settembre del 1940 a Roma. Come egli stesso racconta nella sua autobiografia Paura, edita da Einaudi, il piccolo Dario cresce nel mito del cinema. Sua madre, infatti, è la fotografa di dive Elda Luxardo, sorella dell'ancora più celebre Elio. Ancora adolescente, Dario passa le sue giornate nello studio della madre, restando affascinato dalle figure femminili, dalla cura per il dettaglio, dal gusto per l'illuminazione, dalle lunghe sedute per il trucco. La sua carriera scolastica è altalenante. Il giovane, infatti, abbandona gli studi di liceo classico e si reca a Parigi dove resta per un anno passando gran parte del suo tempo alla Cinémathèque, studiando i classici del passato e ammirando la nouvelle vague. Tornato in Italia inizia a lavorare come critico per il quotidiano Paese Sera fino a quando ha l’occasione di collaborare alla stesura di alcune sceneggiature di genere, tra le quali spiccano Metti una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi, Lei è favorevole o contrario di Alberto Sordi ma soprattutto C’era una volta il west di Sergio Leone, scritto insieme a un giovane Bernardo Bertolucci.

Una scena de L'uccello dalle piume di cristallo

Nel 1970 Argento ha l’idea per un thriller dall’ambientazione italiana. Ispirato al romanzo di Fredric Brown La statua che urla, L’uccello dalle piume di cristallo è un giallo che ha come protagonista uno scrittore americano, testimone involontario di un tentato omicidio, coinvolto suo malgrado in una interminabile catena di delitti. Terminato il lavoro di scrittura, Argento propone la sceneggiatura a vari produttori incontrando molte difficoltà. Il padre, Salvatore, decide allora di fondare, insieme al secondogenito Claudio, una casa di produzione, la Seda Spettacoli, con la quale produce il film. 
La lavorazione è subito caratterizzata da un approccio originale dal punto di vista visivo. Come direttore della fotografia Argento sceglie il giovane Vittorio Storaro, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia, che dà al film un look gelido, in una Roma atipica, fatta di grandi spazi desolati e di interni decadenti. Come interprete principale, nella parte dell’americano Sam Dalmas, Argento seleziona Tony Musante, mentre nella parte della sua fidanzata Giulia la scelta ricade sull’affascinante Suzy Kendall. I rapporti con Musante sono però a dir poco conflittuali. L’impostazione Actor Studio dell’attore mal si concilia con le idee del regista, più concentrato sull’aspetto estetico del film. Alle proiezioni dei primi giornalieri Goffredo Lombardo, tycoon della Titanus, casa di distribuzione del film, chiede la sostituzione di Dario alla regia, ritenendolo inadatto al ruolo. Il padre, però, tiene duro, e Argento può così concludere le riprese del film. A musicare l’opera il neo regista chiama l’affermato Ennio Morricone (al suo attivo ha già le colonne sonore dei film di Sergio Leone) che per l’occasione compone una partitura dodecafonica di grande impatto sonoro.
L’uccello dalle piume di cristallo esce nelle sale nel febbraio del 1970 e all’inizio è caratterizzato da un disinteresse generale, sia a Milano che a Roma. Goffredo Lombardo è rassegnato all’insuccesso ma non così Salvatore Argento che spinge per fare uscire il film a Firenze dove, inaspettatamente, diventa uno dei più visti. Grazie al passaparola, la pellicola ha una seconda distribuzione nelle principali capitali italiane e diventa uno dei più grandi successi dell’anno, riuscendo ad essere venduto in tutto il mondo, Stati Uniti compresi, dove la pellicola diventa il maggior hit per un film europeo.

Una scena de Il gatto a nove code

Confortato dal trionfo tanto sofferto quanto inatteso, Dario si mette subito al lavoro e, grazie all’intervento dei produttori americani della National General, chiude in poche settimane il soggetto de Il gatto a 9 code, un nuovo giallo, simile nell’impianto al precedente lavoro, stavolta però ambientato a Torino, una città che nel corso della filmografia argentiana risulterà determinante. Ne Il gatto a nove code Il giornalista Carlo Giordani (James Franciscus, imposto dal produttore americano e reduce dal successo de L’altra faccia del Pianeta delle scimmie) e l'anziano enigmista non vedente Franco Arnò (Karl Malden, già interprete prediletto di Elia Kazan), indagano sulla strana morte del dott. Calabresi, un genetista morto in un misterioso incidente alla stazione ferroviaria. Inizia così una ricerca che porterà nuovi delitti e un inaspettato finale.  Due sono gli elementi distintivi del film: i delitti, resi ancora più brutali, e l’ambientazione di cui abbiamo già detto. Ancora una volta la colonna sonora è del maestro Morricone che stavolta propone un commento musicale nel quale il jazz è predominante. Il gatto a nove code è meno coeso de L’uccello dalle piume di cristallo ma si rivela un ottimo successo di pubblico, confermando Dario Argento nell’empireo dei nuovi registi italiani. E’ un periodo d’oro per il cinema nostrano e i primi due lungometraggi di Argento danno il via a un nuovo genere, il thriller all’italiana, che nel corso di un decennio proporrà decine di pellicole sul tema. 

Una scena di 4 mosche di velluto grigio

Nell’estate del 1971 Argento torna sul set per dirigere il terzo capitolo di quella che sarà poi chiamata la trilogia degli animali. 4 mosche di velluto grigio è ancora una volta un thriller in cui la ricetta già sperimentata nelle due pellicole precedenti raggiunge la sua forma più compiuta dal punto di vista sia stilistico che narrativo.  Stavolta il protagonista è un batterista Roberto Tobias (interpretato dal dimenticabile Michael Brandon), perseguitato da uno stalker che una sera uccide accidentalmente. Ricattato da una persona che ha il volto nascosto da una maschera carnevalesca, Tobias cerca di capire insieme alla moglie Nina (l’affascinante Mimsi Farmer)  il perché di quella persecuzione. Sulle sue tracce troverà molteplici vittime ma alla fine la scoperta sarà inaspettata.  La pellicola è girata principalmente all’EUR, quartiere di Roma utilizzato già da Antonioni ne L’eclisse, e che ben si presta alle atmosfere raggelanti del film. Secondo uno schema già consolidato la città è una metropoli costruita assemblando alcuni quartieri di Roma a quelli di Torino. La messa in scena, ancora una volta irrobustita dalla colonna sonora di Ennio Morricone, è caratterizzata da un’inventiva delirante che culmina con la rocambolesca morte dell’assassino, decapitato in un incidente di macchina.Anche stavolta Argento fa centro e ottiene un riscontro di pubblico che lo incorona come il genio del brivido all’italiana.

Una scena di Profondo Rosso

Profondo rosso del 1975 è l’apice della prima fase di carriera di Dario Argento. Il passaggio dal thriller all’horror si fa netto con la storia del giovane pianista di jazz Marc Daly (interpretato da David Hemmings, attore feticcio di Antonioni in Blow Up), testimone involontario dell’orribile delitto di una sensitiva, e coinvolto in una tremenda sequela di omicidi. In questo film Argento ribadisce il suo interesse estetico, quasi morboso, per la morte. I momenti climax di Profondo rosso, infatti, risiedono nella fantasiosa messa in scena degli assassinii che culminano con l’apparizione, immotivata dal punto di vista narrativo ma efficace dal punto di vista emotivo, di una bambola meccanica animata. Sceneggiato con la collaborazione di Bernardino Zapponi, Profondo rosso ribadisce la maestria visiva di Argento ed è un pirotecnico giallo con venature orrorifiche su cui svetta la fotografia di Luigi Kuveiller e la musica del gruppo progressive romano Goblin, capitanata da Claudio Simonetti. La celebre melodia del film è ispirata alla musica di Mike Oldfield per L’Esorcista, uscito nelle sale romane soltanto 5 mesi prima. Ancora una volta è Torino la città prescelta dal regista romano, con le sue strade deserte e la celebre villa del bambino urlante, vera co protagonista del film in una delle sequenze più celebri che vede il nostro eroe alla ricerca della verità. Il film terrorizza milioni di spettatori con la sua violenza estrema e il suo uso della suspense e risulta il maggior successo commerciale di Argento.
All'uscita la stampa non riserva giudizi benevoli. Sui grandi quotidiani raramente il film è recensito dal critico titolare. Su La Stampa Leo Pestellii scrive che il film “non aggiunge molto ai precedenti L'uccello dalle piume di cristallo e Quattro mosche di velluto grigio; anzi fa sospettare di un'ispirazione stanca, convertita in ricetta” e lo accusa di ricorrere a «motivi di Grand Guignol», pur riconoscendo “indubitabile la finezza del lavoro registico, del trapunto delle immagini e dei suoni su un canovaccio che disgraziatamente non provoca eccessivo sussulto.” Interessante la recensione di Tullio Kezich, all’epoca recensore di Panorama; “se Argento si proponeva di diventare l’Hitchcock italiano, a questo punto dovrebbe riflettere sulla distanza che separa Profondo rosso da un film come Psycho”. Dopo aver definito Argento «incerto», il futuro critico di Repubblica e del Corriere aggiunge: “A rigor di logica, o di psicologia criminale, il suo giallo fa acqua da tutte le parti” ed elenca, come difetti “situazioni incongrue, pallidi tentativi di giallo rosa nei duetti fra Hemmings e Daria Nicolodi [la protagonista femminile] e una superdose di efferatezze che a Hitchcock sarebbero bastate per dieci film”. Nel corso degli anni il giudizio è destinato a mutare e oggi Profondo Rosso è ritenuto uno dei migliori film del regista romano.

Una scena di Suspiria

E arriviamo così a Suspiria, capolavoro indiscusso, un’apoteosi visiva straordinaria coadiuvata dalla musica ossessiva e ammaliante dei Goblin. Ispirato al romanzo Suspiria De Profundis di Thomas de Quincey il film è una fiaba ambientata in una Friburgo gotica. La ballerina Suzy Benner (l’attrice Jessica Harper, già protagonista de Il fantasma dell’Opera di Brian De Palma) arriva dall’America per entrare nella prestigiosa Accademia di danza e si ritrova coinvolta in una serie di eventi incomprensibili che mietono vittime intorno a lei. Dopo avere indagato sulle morti inspiegabili, Suzy scopre che la scuola è la sede di una setta di streghe capitanata dalla terribile Madre Tenebrarum. Suspiria è il film più radicale di Argento, quello in cui la trama diventa un mero pretesto per mettere in scena una serie di quadri visivi in cui prevalgono i toni accesi del rosso, del blu, del verde e del giallo. Per realizzare queste inquadrature Argento si avvale della preziosa collaborazione di Luciano Tovoli che per l’occasione recupera la pellicola Technicolor e adotta delle ingegnose soluzioni visive, grazie anche all’utilizzo delle lenti anamorfiche e delle luci ad arco davanti alle quali sono poste stoffe colorate al posto delle comuni gelatine, dando l’impressione che i colori siano gettati come vernice sui volti degli attori. La violenza efferata è presente fin dall’inizio, Argento, dopo avere visto il remake raffinato di Luca Guadagnino, dichiara che il suo Suspiria è a confronto un film selvaggio. 
Uscita in Italia il 1 febbraio del 1977 la pellicola è accompagnata da critiche contrastanti. Giovanni Grazzini sul Corriere della sera scrive: “Una laurea honoris causa in tecnologia degli spaventi. Dario Argento non merita niente di meno per un film che probabilmente farà epoca nel cinema della pelle d'oca” Tullio Kezich, invece, nel suo libro i Mille film - Cinque anni al cinema 1977-1982 stronca la pellicola sostenendo che il regista stia diventando ripetitivo. Morando Morandini, infine, critica il disinteresse di Argento per la logica narrativa. 
La pellicola ha successo in Italia, piazzandosi all'11º posto degli incassi della stagione cinematografica 1976-77 anche se non raggiunge i risultati commerciali del precedente Profondo rosso.
Il successo di Suspiria è, invece, indiscutibile all’estero (soprattutto in Francia, Germania, Giappone, Stati Uniti e Regno Unito, e rende Dario Argento una star del cinema internazionale.

Dario Argento sul set

Dopo Suspiria, Argento realizza delle opere nelle quali dimostra un sostanziale disinteresse per la trama, a favore di una destrutturazione filmica che, pur confermando il suo talento visivo, pensiamo soprattutto a Inferno (sequel di Suspiria) o Opera, raggiunge anche punte di comicità involontaria. Ne è causa la totale assenza di logica per gli avvenimenti che portano alle scene d’orrore. Il paradosso è che, mancando le motivazioni (pur all’interno di un genere come l’horror dove vige la sospensione dell'incredulità), lo spettatore è più annoiato che spaventato dalle magistrali invenzioni visive che rimangono così uno sterile esercizio di stile. Questa deriva, purtroppo, ha portato a risultati non sempre all’altezza delle aspettative. Dagli ancora ottimi Tenebre (1982) e Phenomena (1985), ai discreti Trauma e Non ho sonno, fino agli imbarazzanti La terza madre (terzo capitolo della  trilogia sulle streghe) e Dracula. A 80 anni appena compiuti Dario Argento sta per tornare sul set con un nuovo thriller Occhiali neri. Scritto insieme a Franco Ferrini,  il film è incentrato su una prostituta e un orfano in cerca di un pericoloso assassino a Venezia. Inutile dire che lo attendiamo con ansia.




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