domenica 11 ottobre 2020

Cercando la luce. L’autobiografia di Oliver Stone.

 Se la leggenda diventa realtà vince la leggenda.

Questa battuta, tratta da L’uomo che uccise Liberty Valance di John Ford, sintetizza quello che Oliver Stone pensa di Hollywood. C’è un brano della sua autobiografia, Cercando la luce, edita da La nave di Teseo che ben descrive l’approccio di Stone al cinema, esattamente all’opposto di quello di John Ford. Nel 2017 il regista scopre che la sceneggiatura di Fuga di mezzanotte, con la quale nel 1978 ha vinto il suo primo Oscar, non è basata su fatti reali. Bill Hayes, l’americano condannato a 30 anni di prigione in Turchia per detenzione di hashish, ha infatti ammesso di aver fatto il contrabbandiere di droga e che le sue memorie, dalle quali lo sceneggiatore ha tratto il film, sono state da lui romanzate per incontrare il favore dei lettori americani.
Oliver Stone, scrive nella sua biografia, non avrebbe mai scritto il copione se avesse conosciuto i fatti reali ma, commenta con amarezza, a Hollywood non interessa la verità. “Io sono convinto che come drammaturghi dobbiamo sforzarci di rispecchiare lo spirito della verità, se siamo in grado di conoscerla; fondamentale è una scrupolosa attività di documentazione. Ma un’ombra lunga grava ancora su questa impresa che è il cinema: tu puoi portare avanti le tue ricerche e arrivare a una verità ma, se questa non è memorabile, o è troppo complessa, alla maggior parte della gente non interesserà, non verranno a vedere il tuo spettacolo. Il pubblico vuole credere. Su questo tema, la mia carriera sarebbe incespicata più di una volta.” 

In effetti, tutte le volte che Oliver Stone ha raccontato nei suoi film persone reali ha suscitato polemiche. Che si tratti di Kennedy, oppure Nixon, fino ad Alessandro Magno, i critici lo hanno attaccato, talvolta a ragione, per inesattezze storiche o forzature personali su questioni politiche. 


Oliver Stone sul set di Platoon


Le oltre 600 pagine del memoir coprono la vita di Oliver Stone dall’infanzia fino alla vittoria dell’Oscar con Platoon, lasciando il lettore con l’amaro in bocca. L’autore, infatti, non ripercorre la carriera che va dal 1987 a oggi. Mancano dunque all’appello titoli importanti del calibro di Wall StreetJFK, Nato il quattro luglio, Tra cielo e terra e Assassini nati. Penso dunque che un secondo capitolo di questa autobiografia sia inevitabile. Per il momento possiamo goderci questo ritratto impietoso che l’artista fornisce di se stesso, soprattutto nella prima parte del libro, la più interessante, che affronta la sua vita familiare e la sua decisione, a soli 21 anni, di arruolarsi in Vietnam. Alla base di questa scelta c’è la profonda delusione di Oliver per il divorzio dei genitori. Il padre è un ex ufficiale dell’esercito che ha combattuto la seconda guerra mondiale e ha trovato in Francia l’amore. La madre del regista è, infatti, una parigina vivace che instaura col figlio un rapporto di estremo affetto ma anche di disinteresse, lasciandolo col padre quando, dopo quasi vent’anni di matrimonio, s’invaghisce di uno squattrinato fotografo e lascia la famiglia senza più dare notizie di sé per un paio d’anni.
Per sfuggire all’atmosfera rigida instaurata dal padre, un agente di cambio repubblicano che sogna per il figlio una carriera accademica, nel 1967 il ragazzo lascia Yale e fugge in Vietnam dove resta per un anno e mezzo come soldato semplice, vivendo un’esperienza decisiva, alla base della sua opera più celebre, Platoon. E’ nella giungla, infatti, che conosce il sergente Elias, immagine di un’America positiva e il sergente Barnes, il suo alter ego malefico. In realtà, come spiega lo stesso autore, la storia è costruita sull’Iliade e sui personaggi omerici di Achille e Ettore, proiettati nelle foreste pluviali del Vietnam.

Rientrato negli Stati Uniti, il nostro si mette subito nei guai ed è arrestato a San Francisco per possesso di hashish. Sbattuto in galera deve chiedere aiuto al padre ma l’esperienza in carcere gli tornerà utile per scrivere Fuga di Mezzanotte


Un giovane Oliver Stone in Vietnam

 Tornato nella Grande Mela Oliver s’iscrive alla scuola di cinema della New York University dove già insegna un venticinquenne Martin Scorsese. E’ il periodo della nouvelle vague francese e della sperimentazione godardiana ma il futuro regista predilige storie forti e ben strutturate e si mette in luce per il suo approccio realistico.

La vera ricompensa per gli appassionati di cinema è il resoconto che egli fornisce delle sue prime esperienze, passando dall’essere un tassista di trent’anni a uno dei migliori sceneggiatori di Hollywood, affermatosi con l’Oscar ottenuto per Fuga di mezzanotte. Prodotta da Peter Guber (destinato a diventare il tycoon della Sony) e diretta dall’inglese Alan Parker (recentemente scomparso), la pellicola è tratta dalle memorie - non attendibili col senno di poi - dell’americano Bill Hayes, arrestato a Istanbul per traffico di fumo, poi rinchiuso in una galera turca dove sarà fatto oggetto di torture indicibili prima di riuscire a fuggire.

Dopo l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, il passaggio di Oliver Stone da scrittore a regista è obbligato e nel 1981, dopo lo sperimentale Seizure, il cineasta dirige l’horror The Hand (La mano) con Michael Caine. 

Se la carriera come regista non promette nulla di buono quella come sceneggiatore procede alla grande. Lo scrittore, infatti, è chiamato da Ed Pressman a occuparsi della trasposizione sullo schermo dei romanzi di Robert E. Howard dedicati a Conan il barbaro. La creatura di Howard è già stata oggetto di una trasposizione a fumetti leggendaria, scritta da Roy Thomas e disegnata dall’inglese Barry Windsor Smith. Stone è un appassionato lettore delle strisce e immagina una saga composta da ben 10 lungometraggi. La stesura del primo copione è di ben 140 pagine e il preventivo stanziato  ammonta a oltre 100 milioni di dollari, un budget troppo elevato per l’epoca. Il progetto passa così in mano a Dino De Laurentiis che offre la regia a John Milius. L’incontro tra il regista di Un Mercoledì da leoni, nonché co sceneggiatore di Apocalypse Now e non accreditato de Lo squalo, e il giovane scrittore è indimenticabile. Stone, divenuto pacifista convinto dopo l’esperienza vietnamita, si scontra infatti con il carattere belligerante di Milius e la collaborazione va presto in frantumi. Alla fine ne esce un lungometraggio molto diverso da quello immaginato da Oliver Stone che lancia il giovane austriaco Arnold Schwarzenegger nell’empireo delle nuove star di Hollywood.


Arnold Schwarzenegger in Conan il barbaro


Subito dopo Stone è messo sotto contratto da Martin Bregman per occuparsi del copione di Nato il 4 luglio. Tratta dal libro del reduce Ron Kovic, la storia narra la vita di un autentico patriota che, partito per la guerra del Vietnam, torna in patria paraplegico dopo essere stato ferito, diventando un autentico pacifista. Il copione scritto da Stone è in parte anche autobiografico. Lo sceneggiatore vede in Ron Kovic quello che avrebbe potuto diventare se la fortuna non lo avesse assistito in Vietnam. La produzione dovrebbe vedere dietro la macchina da presa nientemeno che William Friedkin, poi sostituito dal mestierante Donald Petrie, e come protagonista il trentottenne Al Pacino. Ma i fondi promessi non arrivano e il progetto decade proprio quando è stata fissata la data di inizio riprese. Per Oliver Stone, che nel progetto ha investito tutto se stesso, si tratta di un duro colpo. Dopo Platoon questo è il secondo titolo ambientato in Vietnam a saltare e il sogno di portare sullo schermo le sue esperienze di vita sembra davvero impossibile, alla luce del successo nel 1978 de Il Cacciatore e Tornando a casa e nel 1979 di Apocalypse Now. La guerra in Vietnam è stata celebrata da ben tre capolavori e Stone dovrà attendere quasi dieci anni prima di poter tornare su entrambi i progetti.


Al Pacino in Scarface


E’ sempre Martin Bregman a venire in suo aiuto, proponendogli la scrittura del remake di Scarface, celebre gangster movie degli anni ‘30 diretto da Howard Hawks. La sceneggiatura  dell’ascesa e caduta di un criminale stavolta è ambientata in Florida e vede al posto di un italo americano un cubano. Alla regia c’è Brian De Palma, reduce dal successo di Vestito per uccidere, mentre nel ruolo principale è scritturato Al Pacino. Le riprese sono tormentate, i litigi tra De Palma e Pacino epici, ma il risultato al botteghino è clamoroso.

Nel 1986 Stone riesce a tornare alla regia con il copione di Salvador. Ambientata durante la rivoluzione sandinista, la storia ha come protagonista un cinico fotoreporter inviato in Sudamerica per scrivere sul conflitto civile. Il producer Gerald Green investe sul film tra mille difficoltà, consentendo al suo autore di guadagnarsi una nuova nomination. Il ritratto che Oliver Stone dà di James Woods, il protagonista del film, è quello, impietoso, di un attore pavido, pieno di idiosincrasie.
Il successo di Salvador, candidato a tre Oscar, consente al regista di riprendere in mano la sceneggiatura di Platoon. Il film, prodotto da Arnold Kopelson, è girato in 57 giorni nelle Filippine con un cast di attori sconosciuti. Nella parte del giovane protagonista e narratore Chris Taylor (vero e proprio alter ego di Oliver Stone) c’è Charlie Sheen, mentre nella parte del buon soldato Elias, la faccia innocente dell’America, c’è Willem Dafoe. Il perfido Barnes è interpretato invece da Tom Berenger.
Fin dalla prima uscita Platoon riscuote un unanime successo di critica e di pubblico, trionfando nell’edizione 1987 degli Oscar con quattro statuette, tra le quali quelle di Miglior Film e di Miglior regia per lo stesso Stone.


Platoon


Il contraddittorio comportamento di Oliver Stone con Hollywood e la stampa specializzata ha sollevato numerose perplessità nel corso degli anni. Sebbene nel libro l’autore non approfondisca troppo il suo uso di droghe (fatta eccezione per il ricordo lisergico legato alla premiazione avvenuta ai Golden Globe del 1978) o le sue avventure sessuali (al contrario scrive delle sue ex mogli con calore e rispetto), egli non nasconde nemmeno i suoi eccessi. "Sì mi sono anche ubriacato a Hollywood e drogato in pubblico, con un comportamento stupido e immaturo", scrive in un passaggio sorprendente.

La sua decisione di terminare il libro durante la fatidica notte degli Oscar del 1987 è brusca: vorremmo saperne di più sui suoi lavori successivi, ma è evidente che Oliver Stone in questa prima parte si è voluto concentrare sulla sua ascesa a Hollywood e lo ha fatto con grande sincerità mostrandosi vulnerabile, introspettivo, tenace e, spesso inconsolabile.


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