venerdì 2 ottobre 2020

Doppio Brian De Palma. Gli 80 anni del regista sono l’occasione per riflettere sul suo capolavoro che compie 40 anni: Vestito per uccidere.


Alla fine degli anni ‘60 il cinema hollywoodiano conosce un periodo di profonda crisi creativa. Le vecchie formule dei blockbuster epici alla Cleopatra o dei musical ipertrofici alla Tutti insieme appassionatamente sembra sorpassata. La rivoluzione sessantottina è alle porte e i giovani conoscono una trasformazione che include, nell'ordine, la musica rock, le proteste studentesche, l’amore libero e le droghe. In Francia la nouvelle vague ha frantumato le regole del cinema ed è scesa in strada a filmare storie che reinventano i generi con uno stile rivoluzionario: cineprese leggere in 16mm, presa diretta, montaggio frenetico.
Anche negli Stati Uniti l’onda lunga di queste innovazioni contamina il proprio cinema. All’inizio è Bonny e Clyde di Arthur Penn a introdurre una violenza brutale, seguito da Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah.
Negli stessi anni, tra il 1967 e il 1968, arrivano sugli schermi Easy Rider di Dennis Hopper e Peter Fonda, Il laureato di Mike Nichols e, nel 1971, Il braccio violento della legge di William Friedkin, pellicole che sovvertono lo stile codificato e irrompono come un terremoto negli studios. Come racconta Peter Suskind nel imprescindibile Easy Riders Raging Bulls, tra il 1967 e il 1979 i tycoon cedono il loro potere produttivo ai registi. E’ un decennio d’oro per il cinema americano che corrisponde alla nascita di quelli che verranno definiti dalla stampa specializzata i Movie Brats, i ragazzi terribili. Francis Ford Coppola, George Lucas, Steven Spielberg, Martin Scorsese, Brian De Palma.

Dei cinque autori Brian De Palma, italo americano di Newark, New Jersey, è il più sottovalutato ma anche il più incline alla sperimentazione. Come i suoi amici ha studiato cinema, ama i classici e vuole rivisitarli alla luce del nuovo linguaggio emerso in quegli anni. Hitchcock è il regista più amato. In un’intervista rilasciata alla rivista The House of Hammer nel 1977 così spiegava la sua sua ammirazione per il maestro del brivido inglese: “Per me Hitchcock è una grammatica. Ha sviluppato una certa grammatica del film, che io sto imparando a usare. Ciò che ho fatto con Sisters e Obsession è stato utilizzare le premesse dei film che ha fatto lui, ma cercando di raccontare storie differenti. Hitchcock è un maestro, un gigante: ha fatto un mucchio di capolavori. Io l’ho solo usato, in un certo senso, come punto di partenza da cui sviluppare le mie capacità tecniche.” 

Dopo gli sperimentali Ciao America! e Hi Mom!, ispirati alla nouvelle vague godardiana, De Palma crea delle pellicole che rivisitano per l’appunto il cinema hitchcockiano con uno stile survoltato. Ricordiamo nell’ordine Sisters (Le due sorelle), Obsession (in italiano Complesso di colpa), sorta di remake de La donna che visse due volte, ma sopratutto Vestito per uccidere, Dressed to kill, omaggio al capolavoro più amato del genio del brivido, Psycho.


Brian De Palma sul set

Vestito per uccidere esce nel 1980, a poche settimane di distanza da un altro classico del cinema dell’orrore, Shining di Stanley Kubrick. De Palma è reduce dal successo di Carrie lo sguardo di Satana, adattamento cinematografico del primo romanzo di Stephen King, e gode della stima della critica e del pubblico anche per avere diretto il cult Il fantasma del palcoscenico, opera rock horror divenuta con gli anni di culto. 

Tra Psycho di Alfred Hitchcock e Vestito per uccidere di Brian De Palma esistono 20 anni di distanza. Dal punto di vista formale il film del regista italo americano è molto più moderno di quello di Hitchcock, eppure il suo contenuto è considerato retrogrado, legato a idee di violenta disforia di genere, in parte sovrapponibili alle polemiche sorte nel 1960 a proposito del finale di Psycho e della discutibile spiegazione che lo psichiatra dava della patologia di Norman Bates.

Non c’è modo di parlare di Vestito per uccidere senza rivelarne il finale e non c’è stato un solo momento nel quale le controversie e le discussioni in questi 40 anni non abbiano accompagnato il film, definito uno slasher, un’opera misogina, un esempio di transfobia cinefila. Per i fan del regista di Scarface, Gli intoccabili e Carlitos’ way (per citare i suoi tre capolavori)  questo è il film preferito, una provocazione deliberata che riflette e sfida le norme culturali dell’epoca. 


Il Poster americano


Dressed to kill è una storia di sdoppiamento nella quale i personaggi sono in guerra con se stessi. Fin dalla prima scena, una doccia sensuale che si tramuta in un amplesso quasi pornografico, De Palma imposta il film sul filo del rasoio tra desiderio sessuale e violenza omicida. Angie Dickinson, nei panni di Kate Miller, è una sorta di alter ego di Marion Crane in Psycho, in questo caso una casalinga di mezza età in cerca di avventure sessuali. Il Norman Bates di questa storia non è reale ma è evocato dalla immaginazione della donna, come se il piacere che cerca in maniera compulsiva sia qualcosa di proibito e degno di una punizione esemplare. La frustrazione sessuale di Kate è l’argomento principale degli incontri con il suo terapeuta, il dottor Elliott, interpretato da un ambiguo Michael Caine.
Le oscure fantasie della protagonista sono destinate a tramutarsi in realtà, non prima però che De Palma si sia scatenato in una sequenza magistrale, ambientata in un museo, nella quale rievoca da par suo le atmosfere di un altro grande classico hitchcockiano, Vertigo. Durante una visita pomeridiana al Metropolitan Museum di New York, Kate inizia a flirtare senza parole con un affascinante sconosciuto, potenzialmente minaccioso. Mentre la donna e lo sconosciuto giocano al gatto col topo nelle sale del Metropolitan, De Palma trasforma il museo in un vertiginoso labirinto di stanze. Un paio di guanti diventa una forma di invito cavalleresco, e alla fine della scena, sulla partitura sensuale di Pino Donaggio (una citazione esplicita a Bernard Herrmann), un guanto è recuperato dallo sconosciuto e l'altro da un misterioso individuo di cui non vediamo le fattezze che ucciderà la donna.

La punizione che il regista infligge alla sua star non avviene nella doccia ma nell’ascensore, subito dopo un amplesso. Un assassino biondo in trench e cappello nero (una reminiscenza argentiana)  ha seguito fin lì Kate per ucciderla. Così, a metà film, il pubblico perde la sua protagonista, proprio come in Psycho.
A questo punto De Palma introduce una seconda figura femminile, Liz (interpretata dalla moglie Nancy Allen), immagine speculare di Kate. Laddove quest’ultima è una casalinga repressa, Liz è una escort d’alto bordo, a suo agio nell’offrire il suo corpo a clienti danarosi. La prostituta scopre per caso il corpo della vittima e identifica il suo aggressore attraverso un riflesso in ascensore, mettendo così la sua vita in pericolo.
Da questo momento Vestito per uccidere si tramuta in un giallo nel quale assume un ruolo centrale il figlio nerd di Kate, Peter, interpretato da Keith Gordon. Convinto che uno dei pazienti del dottor Elliott sia il responsabile dell'omicidio il giovane s’improvvisa investigatore e, con l’aiuto della ragazza, scopre la verità.

Angie Dickinson


Il film è un thriller sofisticato, attraversato da sequenze di soft porno, ed è suddiviso in due parti. Mentre la prima è un pezzo di cinema magistrale, la seconda ha uno svolgimento banale anche se illuminata da momenti folgoranti come l’inseguimento nella metropolitana tra Liz e il killer. La disorganicità del film tuttavia sembra creata ad arte per disorientare lo spettatore attraverso improvvise scene shock. 

Questo dualismo percorre tutto il film. Ci sono doppi ovunque in Vestito per uccidere: due donne, due guanti, due scene di doccia, due bionde che seguono Liz. Lo schermo stesso è diviso tramite lo split screen che raddoppia l’inquadratura, sottolineando così la duplicità della storia. 

Anche l’omicida ha una personalità duplice che si esplicita nel dottor Elliott e in Bobbi. Uno è un terapista che ha represso i suoi impulsi, l’altro è un oscuro figuro con la parrucca che entra in azione ogni qualvolta il medico si sente eccitato. 

Il film è dunque un’ossessione racchiusa tra due incubi, quello d’apertura e quello che conclude la storia. E’ indubbio che De Palma sia affascinato dal tema della multipla personalità, presente in tutta la sua opera, da Le due sorelle a Carrie, passando per Omicidio a luci rosse (in inglese Body Double) a Doppia personalità fino a Femme Fatale.
Non c’è modo di aggirare la discutibile associazione tra la transessualità e la schizofrenia, nonché l’utilizzo della violenza estetizzata. Sono temi caldi agli inizi degli anni ‘80 che investono anche un altro importante lavoro, anch’esso ambientato a New York e diretto da William Friedkin, Cruising con Al Pacino nei panni di un detective incaricato di investigare sull’omicidio di un gay. 

Anche se Vestito per uccidere è stato accusato per anni di misoginia ci pare che l’accusa, alla luce del suo quarantennale, sia ingiusta. Oltre ad essere un eccellente esercizio di stile Dressed to kill parla, infatti, degli oscuri istinti puritani dell’America, conosciuti bene dal regista italo americano, cresciuto in una famiglia cattolica, la cui formazione, come quella del suo mentore Hitchcock, ha contribuito a forgiare una filmografia basata sul peccato, la colpa e l’espiazione.


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