domenica 14 giugno 2020

Il centenario della nascita di Alberto Sordi è ricordato con uno dei suoi lavori più importanti: Tutti a casa.

Sulla mia scrivania ho una foto di circa trent’anni fa che mi ritrae accanto a Alberto Sordi in uno studio televisivo, mentre festeggia, con un bicchiere di spumante il suo 70esimo compleanno. Ho conosciuto l’attore romano quando lavoravo come redattore in un programma del mattino della Rai. Un'usanza piacevole era festeggiare il 15 giugno il suo compleanno, invitandolo in trasmissione e facendogli trovare una torta con le candeline. Sordi era sempre disponibile e affabile, un uomo d’altri tempi, dotato di un senso dell’ironia formidabile che nonostante l’età avanzata ancora gli permetteva di tirare fuori delle battute fulminanti. Sopravviveva così al mito di se stesso, un mito che aveva costruito con una filmografia strepitosa di ben 140 pellicole.
Nel 1960, all’apice della sua popolarità, aveva girato 12 film, un record da annali del cinema, alternandosi tra opere di satira sociale e altre comiche (Il Vedovo con la grande Franca Valeri e Il vigile con a fianco Vittorio De Sica), non disdegnando le prove drammatiche nelle quali, a mio parere, eccelleva.
Più di ogni altro attore della seconda metà del ‘900, più di Totò e di Gassman, di Mastroianni e di Tognazzi, Sordi ci ha mostrato quello che siamo e che forse avremmo preferito non essere. Ci ha messi davanti a uno specchio e ci ha fatto ridere e vergognare dei nostri difetti.

I Vitelloni

L’ATTORE DAI MILLE VOLTI
Nato nel 1920, Sordi cresce nella Roma piccolo borghese e fascista. Fin da bambino ama esibirsi in pubblico: a dieci anni è un abile marionettista, a sedici diventa fantasista e va a Milano per tentare la carriera di attore drammatico. Rifiutato dalla città meneghina torna a Roma dove cerca di farsi strada nel cinema, prima come comparsa - nel kolossal Scipione l’Africano - poi come doppiatore di Oliver Hardy. Frequenta la rivista e l’avanspettacolo e non disdegna la radio, dove presenta delle macchiette, su tutte il compagnuccio della parrocchietta. 
Con quel faccione non farai strada nel cinema, gli avevano detto decine di volte i cinematografari. Sarà il suo amico Fellini, all’epoca squattrinato quanto lui, a lanciarlo come protagonista, prima ne Lo sceicco bianco, poi ne I Vitelloni. All’inizio il suo nome non appare nemmeno in locandina  ma dopo il successo ottenuto al festival di Venezia ritornerà sui manifesti per non andarsene più. Grazie a I Vitelloni Sordi sarà in grado di rappresentare il piccolo borghese in tutte le sue peculiarità. E’ con questo film, infatti, che l’attore si trasforma nell’italiano vero. Va dato merito a Fellini, che lo conosceva bene ed era consapevole delle sue potenzialità, se Sordi esce dalle macchiette, per assumere l’identità di tutti noi nei film che vanno dagli anni ‘50 fino ai ‘60. Non si può dimenticare che grande merito nella trasformazione di Sordi è stato anche di Rodolfo Sonego, suo sceneggiatore di fiducia. Insieme, Sordi e Sonego inventarono un’infinità di personaggi medi: lo scapolo, il ragioniere, l’impiegato, il vedovo, il giornalista fallito, il funzionario, il vigile, il soldato. Era una galleria comica di uomini che si affermò subito, definendo il costume con grande efficacia. 
Come evidenzia Goffredo Fofi nella sua  imprescindibile biografia: “Sordi ha inventato un carattere desunto dalle abitudini mediocri, dai difetti correnti, da certi squallori e torpori morali tipici dell’uomo comune. Nasceva così un personaggio medio, comico, feroce identificazione di un tipo: il modello negativo prodotto dalla società italiana fra il ‘50 e il ‘60. Questo modello è un uomo sui 30 anni, quasi sempre romano, la cui componente è una sola: la viltà. E’ quindi un personaggio confuso, perché il passaggio repentino dal fascismo alla democrazia, proprio nell’età della formazione, gli ha impedito di farsi uomo in maniera coerente. Egli non ha problemi politici, né passioni civili, aspira solo a una vita piacevole, badando al proprio interesse personale. Ossequia i potenti, necessari per il suo benessere, ma in realtà li disprezza. Ha perciò due maschere, quella esterna, servile, e quella interna, paurosa. Non ha una morale perché richiede consapevolezza, maturità di giudizio... Non ha veri amori, ma solo avventure che appagano la sua vanità. Adora, naturalmente, la mamma che lo ama, lo perdona, e blandisce ogni suo vizio,  l’unica vera protezione dalle difficoltà della vita. A volte può essere crudele, ma lo è coi deboli, sopratutto con le vecchiette e i bambini. Coi forti, invece, è premuroso e cortese. Se prende moglie lo fa per un rispetto delle convenienze: infatti tratta la donna come uno strumento, non come una compagna.” 
Sordi sentiva questi personaggi con precisione, li conosceva e in questo consisteva l’originalità del suo talento. Diceva di lui Rodolfo Sonego: “Alberto è una civetta. Di colpo apre l’occhio, guarda, e ha una folgorazione improvvisa. Per lui la pietà non esiste. Ciò che esiste è la capacità di questo giudizio critico, fulminante.” 
Nasceva così, fra il ‘54 e il ‘60, l’eroe negativo che appassionava e divertiva, e che, per la prima volta da quando il cinema italiano era nato, provocava nel pubblico una catarsi alla rovescia: la catarsi dei difetti, dei cattivi sentimenti. Ha detto con molta obiettività Mario Monicelli: “Sordi non va visto come attore, ma anche come autore, perché ha inventato un personaggio comico di grande modernità ed ha avuto il coraggio di imporlo.

Il Vigile


AMATO IN ITALIA, IGNORATO ALL’ESTERO
Uno degli argomenti più discussi nel corso degli anni è stato quello sul motivo per il quale Sordi, a differenza di Marcello Mastroianni o di Anna Magnani, tanto per fare due esempi rappresentativi del nostro cinema, non sia stato apprezzato anche all’estero. Pasolini ha dedicato a questo tema delle riflessioni interessanti. Per lo scrittore il mondo della Magnani è molto simile a quello di Sordi: tutti e due romani, tutti e due popolani, tutti e due dialettali. Eppure la Magnani ebbe successo anche fuori dall’Italia: il suo particolarismo fu compreso, diventò subito universale. 
Alberto Sordi, invece, no. Lo apprezziamo soltanto noi italiani. Il motivo, secondo Pasolini, sta nel fatto che il riso che suscita Alberto Sordi è un riso di cui un po’ ci si vergogna. La sua è una comicità che nasce dall’attrito con la società moderna, di un uomo il cui infantilismo anziché produrre ingenuità, candore, bontà, disponibilità, ha prodotto egoismo, vigliaccheria, opportunismo, crudeltà. Insomma, Sordi ci faceva ridere del nostro peggio. “... La bontà: ecco quello che manca totalmente in Sordi. Charlot ha fatto ridere tutto il mondo perché era buono. Harold Lloyd, Stan Laurel e Oliver Hardy hanno fatto ridere tutto il mondo perché erano buoni... Alla comicità di Alberto Sordi ridiamo solo noi. Ridiamo, e ci vergogniamo di avere riso, perché abbiamo riso sulla nostra viltà, sul nostro qualunquismo.
Inoltre, per il regista di Accattone Sordi è cattolico. Molto di quello di cui ridiamo ha a che fare con i peccati che noi tutti commettiamo e con il conseguente perdono. Ma fuori dall’Italia ci sono i protestanti, i puritani, o i cattolici senza compromessi. Per Pasolini: “Essi non conoscono l’arte di arrangiarsi, tanta ferocia e tanta viltà è inconcepibile. Questa comicità di Sordi piccolo borghese e cattolica, senza nessun ideale, non urta e non urterà mai la censura italiana: urta e urterà sempre chi possiede una sensibilità civica e morale, cioè la media dei pubblici francesi e anglosassoni.” 
Eppure, sempre secondo lo scrittore, Sordi aveva le qualità per potersi redimere, inserendo nel suo personaggio quel tanto di pietà che gli mancava. 
In alcune occasioni ci è riuscito, in particolar modo con La grande guerra, Tutti a casa e Una vita difficile, tre film dove l’attore si spoglia del suo cinismo per immedesimarsi in tre italiani che, pur avendo in parte le caratteristiche descritte da Pasolini, lasciano emergere una pietas che li rende più umani.

TRE FILM FONDAMENTALI
Riassumere, dunque, la carriera di Alberto Sordi è un’impresa impossibile ma mi piace ricordare il centenario della sua nascita proprio con uno di questi tre film che, a mio parere, riassume bene l’essenza del Sordi attore e al contempo di italiano medio.
Tra il 1959 e il 1961, uno per anno, La grande guerra, Tutti a casa e Una vita difficile furono tre revisioni storiche con un alto tasso di drammaticità che ottennero un inaspettato successo. Sordi volle fortemente esserci in tutti e tre i film. Ne La grande guerra, diretto da Mario Monicelli e scritto dal regista con Luciano Vincenzoni, Age e Scarpelli, è il rozzo soldato romano fuori da ogni coscienza storica o politica. In Tutti a casa, invece, l’attore interpreta il graduato che ha creduto nel fascismo e nella sua idea dell’Italia e che reagisce al disastro del fascismo e dell’Italia assumendo via via nuove responsabilità. In Una vita difficile, sceneggiato da Rodolfo Sonego, è prima il militante, poi il comune intellettuale che attraversa il dopoguerra fino agli anni ‘60 mantenendosi pulito in una situazione sempre più sporca, spinto dal ricatto familiare a vendere la sua intelligenza e la sua morale a un padrone che resta sempre a galla da una truffa all’altra, un industriale che controlla i giornali, che ha ottimi rapporti col Vaticano, che può permettersi di comprare chi vuole. Nel finale di Una vita difficile, Sordi si ribella e getta il padrone nella sua piscina. 

Tutti a casa


TUTTI A CASA
Ma è in Tutti a casa che Sordi si trasforma in un attore a tutto tondo, capace di vestire i panni di un ufficiale che nel 1943, travolto dall’8 settembre, cerca di sopravvivere con dignità alle molteplici traversie che la guerra gli pone, fino ad acquisire una consapevolezza che lo porta a combattere contro i nazi fascisti.
Nel suo picaresco ritorno a casa il tenente Alberto Innocenzi, accompagnato dal geniere Ceccarelli (interpretato da Serge Reggiani) attraversa un’Italia devastata dalla guerra da Nord a Sud, incrociando nel suo cammino personaggi e situazioni che mettono a dura prova la sua dedizione alla patria e al regime. Tornato finalmente a casa troverà il padre (interpretato da Eduardo De Filippo)  che vorrebbe farlo arruolare di nuovo nella Repubblica Sociale. Fuggito dall’oppressione paterna, Innocenzi arriva a Napoli, proprio alla vigilia delle 4 giornate che porteranno il popolo a liberarsi dall’occupazione nazista. Finalmente, l’ex soldato avrà uno scatto d’orgoglio e tornerà a combattere, stavoltaSordi al fianco dei rivoltosi.
Diretto da Luigi Comencini, su un copione di  Age e Scarpelli, Tutti a casa è un unicum nel cinema italiano. E’ infatti il solo film ad essersi occupato dell’armistizio italiano e delle conseguenze che esso ebbe sulla popolazione, ferita, confusa e spaventata dal caos creato dall’evento. Stretti tra l’occupazione nazista del Nord e l’arrivo delle forze alleate nel Sud, gli italiani fecero appello al loro istinto di sopravvivenza. Ed è proprio questo che spinge il protagonista a svestirsi della divisa e a fare uso di tutti gli espedienti possibili per giungere a un porto sicuro. 
In questo ruolo Sordi va per sottrazione, eliminando tutte le mosse, le battute e le gestualità delle sue interpretazioni più celebri, per dare spazio a un uomo qualunque con tutti i suoi dubbi, le sue incertezze e le sue debolezze. Spogliato del suo proverbiale cinismo e scevro di qualsivoglia retorica, l’attore mette in scena la sua più misurata interpretazione. Come scrisse Gianluigi Rondi su Il Tempo “... Sordi ha veramente superato se stesso nell’esprimere l’evoluzione lunga, complessa e difficile del protagonista.


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