domenica 21 giugno 2020

Nel 1960, il pubblico era impreparato a Psycho di Alfred Hitchcock.


L’INIZIO DI UNA CARRIERA
Pochi mesi prima del lockdown mi trovavo a Londra per lavoro e tornando in albergo a piedi su Cromwell Road mi sono imbattuto per caso in una targa, posta all’ingresso del portoncino di una casa vittoriana che ricordava che, proprio in quel posto, aveva vissuto Alfred Hitchcock.
Ho pensato a quanta strada aveva fatto il giovane Hitch nel cinema quando, alle soglie del 1940, era partito da Londra per andare a Hollywood a dirigere Rebecca la prima moglie (Rebecca, 1940), finanziato dal tycoon più potente dell’epoca, quel David O. Selznick che aveva appena prodotto Via col Vento, vincitore di 9 oscar. Da quel momento la carriera del regista inglese aveva subito una svolta che lo aveva portato a collaborare con tutte le più importanti case di produzione, la Warner, la Paramount, la MGM, la Universal. Per quest'ultima negli anni ‘50 aveva diretto cinque classici, Nodo alla Gola (Rope, 1948), La finestra sul cortile (Rear Window, 1954), La congiura degli innocenti (Trouble With Harry, 1955), L’uomo che sapeva troppo (The Man Who Knew Too Much, 1956), e La donna che visse due volte (Vertigo, 1958). 
Sono stato molte volte agli Universal Studios di Los Angeles e la traccia lasciata da Hitchcock è ancora lì, ben visibile nella palazzina a suo nome dove per anni, ogni mattina, il regista lavorava, o nella splendida sala cinematografica a lui dedicata, dove proiettava i suoi film appena terminati al cast, alla troupe e ai dirigenti degli studios. Quando, nel 1960, Hitchcock produsse e diresse Psycho aveva appena compiuto 60 anni, un’età nella quale l’inventiva dei grandi registi di solito scema o giunge ad una saggezza creativa già strutturata. L’inventiva selvaggia e totalmente moderna di Psycho lascia perciò ancor oggi esterefatti.

La locandina del film


ESSERE VOYEUR
Lo scandalo di questo film non sta nella celebre sequenza della doccia, né nell’omicidio del detective Arbogast, né tanto meno nella scoperta in cantina della madre mummificata di Norman Bates .
La vera audacia è tutta nella sequenza iniziale, quando la cinepresa ci mostra un’assolata Phoenix e dopo una panoramica sui grattacieli penetra nella finestra di un appartamento mostrandoci Marion Crane (Janet Leigh), poco dopo un rapporto sessuale, accanto al suo amante Sam (John Gavin). Hitchcock è un voyeur e anche noi lo siamo.
Più tardi, a circa metà film, quando Norman Bates (Anthony Perkins) rimuove un dipinto nel suo ufficio del Motel e guarda attraverso uno spioncino nella camera di Marion ci troviamo di nuovo nel ruolo spiacevole di guardoni. Stavolta, però, condividiamo lo sguardo di uno squilibrato e vediamo Marion in vestaglia, la stessa che indossava il giorno prima con Sam. E’ questo il fattore scatenante che spinge il timido Norman a tramutarsi in un feroce assassino. Hitchcock, tuttavia, aveva piantato il seme della trasgressione 45 minuti prima, sottolineandone il luogo, l’ora e la data con una precisione maniacale: “Phoenix, Arizona, Venerdì 11. 14.43 Pm.
Alfred Hitchcock riconosce il fascino peccaminoso del cinema, che ci consente di guardare le vite degli altri (per citare il celebre film di Florian Von Donnesmark) senza essere visti. Aveva fatto la stessa cosa con La finestra sul cortile (Rear Window), nel quale aveva trasformato gli appartamenti in una serie di schermi. Ogni finestra aveva il suo dramma privato, a beneficio del protagonista, un James Stewart bloccato sulla sedia a rotelle con un binocolo in mano. Psycho fece un ulteriore passo avanti, soprattutto dal punto di vista maschile, nel suo aspetto più lascivo e predatore. 
60 anni dopo, il film è ancora in cima alla lista dei più grandi horror mai realizzati (assieme a un altro classico L’Esorcista di William Friedkin e a Shining di Stanley Kubrick di cui abbiamo parlato in un precedente podcast), ma la sua influenza è percepibile ovunque. Interi sottogeneri - il filone dedicato ai serial killer (proseguito nel 1974 con il feroce Non aprite quella porta di Tobe Hooper), lo slasher movie (inaugurato da Halloween di John Carpenter nel 1978 e proseguito con Nightmare On Elm Street di Wes Craven nel 1984), i sexy thriller degli anni’90 (Scream su tutti) - non esisterebbero senza di esso. Con Psycho furono fissati nuovi standard stilistici, in particolar modo nell’utilizzo della musica e del montaggio, ma la pellicola fu anche una lezione sulla produzione cinematografica a basso costo. 

Siamo tutti voyeur

LA LAVORAZIONE
Reduce dal successo di Intrigo Internazionale (North By Northwest, 1959), realizzato per la Metro Goldwin Mayer, la Paramount voleva che l’ultimo dei cinque film che Hitchcock avrebbe dovuto dirigere per la major fosse un’altra commedia d’azione. Il  maestro, però, si era innamorato di un romanzo pulp di scarsa popolarità, scritto dall’esordiente Robert Bloch. In Psycho era narrata la vicenda di un serial killer ante litteram, tale Norman Bates, che uccideva i malcapitati ospiti del suo Motel e viveva in una casa, sperduta su una statale poco battuta dagli automobilisti, con la mamma mummificata in cantina. Un romanzo non eccelso ma che aveva colpito l’immaginazione del regista, soprattutto a causa di una scena, a circà metà del libro, nella quale la protagonista era assassinata a coltellate nella doccia. La vicenda, di per sé orribile, era stata respinta dai dirigenti della Paramount che avevano giudicato il libro di Bloch e la sceneggiatura di Joseph Stefano inadatte al grande schermo per temi, linguaggi e personaggi. Travestitismo, tassidermia, amore materno ossessivo, appuntamenti pre matrimoniali in squallidi alberghi e lo scarico di un gabinetto non erano ingredienti attrattivi negli anni ‘60, caratterizzati da blockbuster innocui come Ben-Hur o Tutti insieme appassionatamente (The Sound of Music).
Hitchcock allora decise di finanziare il film da solo, ipotecando la sua casa. Con soli 800.000 dollari, una cifra esigua persino per l’epoca, ridusse i costi al minimo, utilizzando la troupe televisiva del suo Alfred Hitchcock Presents, capitanata dal direttore della fotografia John Russell, e girando in bianco e nero. Come attori principali scelse il giovane Anthony Perkins, all’epoca conosciuto soprattutto per la sua attività teatrale a Broadway e la diva Janet Leigh, già protagonista di decine di pellicole tra le quali spiccava L’infernale Quinlan di Orson Welles (Touch Of Evil, 1958)
Una menzione speciale spetta all’implacabile musica di Bernard Herrmann, il compositore prediletto di Hitchcock, che per l’occasione comporrà una colonna sonora caratterizzata dalla presenza ossessiva di violini dissonanti che diverranno il marchio di fabbrica del film.
Come ricorda il genio del brivido nel libro Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut, le riprese della scena della doccia durarono sette giorni e furono utilizzate oltre settanta posizioni di macchina per 45 secondi di film. Per la scena Hitchcock fece costruire un busto finto con il sangue che doveva sprizzare sotto le coltellate ma alla fine non fu utilizzato. Il regista, infatti, preferì utilizzare una modella nuda come controfigura di Janet Leigh. Della star, dunque, si vedono solo le mani, le spalle e la testa. Il coltello non tocca mai il corpo, tutto è fatto col montaggio, coordinato da George Tomasini. Non si vede mai una parte tabù del corpo della donna, perché le riprese furono fatte al rallentatore per evitare i seni nell’immagine. Le inquadrature non furono poi accelerate perché il loro inserimento nel montaggio dava un’impressione di velocità normale. 

L'omicidio di Marion nella doccia.

Nonostante questi abili accorgimenti, adottati per non incappare nelle maglie della censura, la scena è di una violenza inaudita. In seguito, nel film c’è meno violenza, perché il ricordo di questo primo omicidio è sufficiente a rendere angosciosi i momenti di suspense che verranno più tardi. La sequenza è dunque un incredibile gioco di prestigio nel quale il mago del brivido assembla circa 80 inquadrature senza mai mostrare la lama del coltello entrare nel corpo martoriato di Marion. Con questa sequenza è come se Hitchcock avesse aperto il vaso di Pandora dal quale usciranno decine di pellicole sempre più esplicite, il più delle volte compiaciute, fino ad arrivare all’estremo raggiunto da Dario Argento in Suspira, dove adottando una scelta opposta a Hitchcock il regista italiano mostra la fenomenologia di un assassinio fin nei minimi, sanguinari dettagli, ottenendo così la quadratura del cerchio.
A proposito del coinvolgimento di Saul Bass, autore dei geometrici titoli di testa, nella costruzione della scena, è Hitchcock stesso ad avere spiegato che il contributo del geniale grafico fu soprattutto quello di costruire la sequenza dell’omicidio del detective Arbogast, girata in due giorni mentre il regista era costretto a letto a causa di una fastidiosa influenza.
Per Truffaut Psycho è un film sperimentale e Hitchcock è d’accordo con questa definizione. Dice, sempre ne Il cinema secondo Hitchcock: “La mia più grande soddisfazione è che il film ha avuto un effetto sul pubblico. In Psycho il soggetto m’interessava poco, dei personaggi anche; quello che m’importava è che il montaggio dei pezzi del film, la fotografia, la colonna sonora e tutto ciò che è puramente tecnico potessero far urlare il pubblico. Credo sia una grande soddisfazione per noi utilizzare l’arte cinematografica per creare un’emozione di massa. E con Psycho ci siamo riusciti. Non è un messaggio che ha incuriosito il pubblico. Non è una grande interpretazione che lo ha sconvolto. Non è un romanzo molto apprezzato che l’ha avvinto. Quello che ha commosso il pubblico, è stato il film puro. E’ per questo il mio orgoglio per Psycho sta nel fatto che è un film che appartiene a noi registi… Tutti mi hanno detto che non era una cosa da fare, che il soggetto era orribile, ma il modo di costruire questa storia e di raccontarla ha portato il pubblico a reagire in maniera emozionale.

Alfred Hitchcock sul set.

LO SHOCK
Il film, contravvenendo ogni aspettativa della Paramount, che lo distribuiva nelle sale, ottenne un successo di pubblico clamoroso, incassando nel primo anno di programmazione 15 milioni di dollari, una cifra astronomica per l’epoca.
Immaginiamo cosa deve essere stato vedere Psycho nel 1960, senza sapere nulla della trama. Ricordiamo che per la prima volta nella storia del cinema, con una campagna di marketing geniale, il regista impedì al pubblico l’ingresso in sala a spettacolo iniziato. Gli spettatori impreparati assistevano scioccati all'omicidio brutale della star a circa metà  film, senza alcun preavviso. Coltellate impietose si abbattevano sul corpo di Janet Leigh al suono stridente dei violini di Bernard Herrmann. Il rumore viscido del coltello sulla pelle creò un effetto di repulsione immediato sul pubblico. Un’emozione pari a quella che provarono gli spettatori nel 1896 all’apparizione del treno in corsa in uno dei celebri film dei fratelli Lumière. Psycho è stato un trauma per donne e uomini, così come lo sarà L’Esorcista di Friedkin nel 1973, un’opera più grossolana che aggrediva il pubblico alla giugulare. Racconta Hitchcock divertito che una madre, disperata, gli aveva confidato che la figlia non voleva più fare la doccia dopo avere visto il film. Il regista le consigliò di lavarla a secco.
Chi ha visto più di una volta Psycho sa che contiene dei misteri affascinanti, soprattutto nella prima parte, quando Marion sta decidendo se rubare o no i soldi al suo principale. Nei film slasher degli anni ‘70  punire le ragazze promiscue o che avevano commesso un reato sarebbe divenuta la regola. In questo caso, Marion scappa con un deposito immobiliare di 40.000 dollari ma quando arriva al motel si pente del furto. Tuttavia, per Hitchcock oramai è troppo tardi. 
La sequenza nella quale lei e Norman parlano nell’ufficio è la più complessa perché è strutturata su più livelli. L’ambientazione è opprimente, con gli uccelli rapaci imbalsamati che incombono sui due personaggi. Per Norman la tassidermia è un hobby ma per gli spettatori è ovvio che il ragazzo è disturbato. Marion vede uno specchio che riflette la sua solitudine e il suo rimpianto: all’improvviso capisce che deve tornare in Arizona e restituire i soldi senza che nessuno si accorga di ciò che ha fatto. Si è dunque redenta, una cosa che non accadrà mai nei film dell’orrore a seguire, proprio per questo la sua morte appare ancora più crudele. 
La seconda parte della storia offre la possibilità a Norman di diventare il personaggio principale. Lo vediamo, agitato, pulire la scena del delitto e respingere le indagini prima del detective privato Arbogast (Martin Balsam), poi di Lila (Vera Miles), la sorella di Marion, e infine di Sam (John Gavin), il suo fidanzato. 
Il film porta nuovi personaggi in scena, offrendo a Hitchcock l'opportunità di essere più empatici con Norman, anche se ci sarà un altro omicidio e nel climax scopriremo che tiene la mamma mummificata in cantina.
La sequenza finale, laddove uno psichiatra spiega la tara mentale di Bates, fu criticata per avere disciolto in modo troppo lineare una mente così contorta. Ma alla fine di tutto, restiamo con Norman da solo, avvolto in una coperta, posseduto dalla voce di sua madre. "... non farebbe nemmeno del male a una mosca." dice, prendendo le difese del figlio. 
In realtà, il sorriso inquietante di Anthony Perkins suggerisce il contrario...


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