domenica 5 luglio 2020

Woody Allen. Cronistoria di un genio.

Woody Allen continua imperterrito - insieme a un altro grande vecchio del cinema americano, il novantenne Clint Eastwood - a sfornare una pellicola all’anno, una media impressionante in fatto di prolificità che gli fa raggiungere, a oggi, la cifra record di  49  lungometraggi tra sceneggiature e regie.
I risultati di questo lungo lavoro nell’ultimo ventennio sono stati caratterizzati da alti e bassi: Midnight in Paris e Blue Jasmine sono stati i punti più alti, Café Society è stato un discreto esercizio di stile, mentre Irrational Man e Magic in Moonlight sono meno riusciti.
In questi ultimi mesi Allen è tornato alla ribalta con due lavori: il primo è il film, Un giorno di pioggia a New York (A Rainy Day in New York), il secondo è la sua attesa autobiografia, A proposito di niente. Entrambi i lavori riflettono l’essenza stessa di Allen, intellettuale e cineasta raffinato. Della sua vita privata, confesso che non me ne importa nulla e concordo con il romanziere Brett Easton Ellis che nel suo ultimo e controverso saggio Bianco ha stigmatizzato questa ondata, spesso insensata, di politically correct.
I detrattori di Allen in questi ultimi anni sono aumentati sempre di più tra i giornalisti, gli addetti ai lavori, e anche tra gli attori. Persino Timothée Chalamet, protagonista del suo ultimo film, ha preso le distanze dal regista per accreditarsi a Hollywood nella corsa agli Oscar 2020. 
Molti sembrano avere dimenticato che Allen è l’autore di capolavori come Io e Annie (Annie Hall) e Manhattan, nonché l’inventore della romantic comedy moderna che ha avuto in Harry ti presento Sally (When Harry Met Sally)  di Rob Reiner la sua imitazione più felice. 
I temi della filmografia di Allen tornano ricorrenti nei suoi lavori, nonostante siano passati oltre 50 anni dal suo primo film Che fai rubi? (What’s Up, Tiger Lily?). Vedere perciò Un giorno di pioggia a New York ci offre l’opportunità di ripercorrere in flashback la sua carriera individuando temi, personaggi e autori ricorrenti nella sua opera.

Un giorno di pioggia a New York


UN GIORNO DI PIOGGIA A NEW YORK
Un giorno di pioggia a New York ha avuto un’uscita in streaming nel mondo, fatta eccezione per alcuni paesi, tra i quali l’Italia, dove ha fatto una fugace apparizione nei cinema grazie alla distribuzione di Lucky Red. Il film doveva essere il primo di cinque lungometraggi prodotti da Amazon ma la società di Jeff Bezos si è poi tirata indietro per l’annosa faccenda legata alle accuse di molestie sessuali alla figlia per le quali Allen è stato processato e assolto più di vent’anni fa. 
Il film non è un disastro come Hollywood Ending, Magic in the Moonlight e From Rome to Love ma è abbastanza superfluo nella infinita filmografia alleniana. 
La storia parte da un soggetto piuttosto esile. Gatsby Welles (il nome richiama l’antieroe di Fitzgerald ed è interpretato da Chalamet) è un eccentrico studente, figlio di un’affermata coppia di newyorchesi, e studia in una piccola università del New Jersey, frequentata dai rampolli dell’alta società di Manhattan. In realtà, più che a studiare Gatsby passa le sue giornate a giocare a poker (è un eccellente giocatore d’azzardo, proprio come Woody Allen nella vita) e a suonare al piano i grandi classici della canzone americana anni ‘30. La sua fidanzata, Ashleigh Enright (interpretata con candore da Elle Fanning), è dell’Arizona e coltiva ambizioni da giornalista. Per il momento lavora al giornale degli studenti ma riesce ad ottenere un’intervista con il celebre regista Roland Pollard (Liev Schreiber). Deve, dunque, recarsi per la prima volta nella grande mela: per Gatsby questa è l’occasione perfetta per accompagnare la ragazza nella sua città nativa e farle scoprire i posti che ama. Le cose però andranno diversamente da come programmato. Per una serie di circostanze, Ashleigh è costretta a seguire il regista, in piena crisi creativa, nel suo girovagare insensato tra sale di proiezione, set deserti e party, mentre Gatsby da solo ciondola nella metropoli sotto una pioggia battente. Anche lui farà numerosi incontri, compreso quello con la sorella di una sua ex, Shannon Tyrell, interpretata da Serena Gomez. Quando i due fidanzati, dopo molteplici peripezie, si ritroveranno al termine del week end Gatsby avrà capito tante cose della sua vita e prenderà una decisione inaspettata. 
Come si evince dalla trama ritroviamo molti temi già affrontati in opere più convincenti: innanzitutto la città, vera protagonista del film, illuminata da Vittorio Storaro, divenuto negli ultimi tempi il direttore della fotografia prediletto da Allen. Poi l’amore per la musica jazz, altro pilastro dell’immaginazione del regista, e, infine, i numerosi riferimenti letterari, disseminati qua e là, a cominciare dal nome del suo protagonista, novello Fitzgerald, insicuro del suo destino e annoiato dalla sua facile ricchezza. Fa un effetto strano ritrovare i temi di una vita, decisamente fuori registro rispetto all’epoca frenetica e tecnologica in cui viviamo. I personaggi, interpretati da giovani star, compresa la Gomez, divetta di Disney Channel, recitano dialoghi al di sopra delle loro capacità intellettive ma questa è la trasposizione ideale della giovinezza vista da un ottantaquattrenne.
Quest’ultimo rimescolamento di temi non è così male, tuttavia la dissolvenza in nero con la quale si chiude il film mi è apparsa di una tristezza indicibile, una sorta di rimpianto per il passato.

Woody Allen

INFANZIA & ADOLESCENZA
A questo punto facciamo un passo indietro e parliamo della vita di Woody, partendo proprio dalla sua autobiografia, A proposito di niente, pubblicata in Italia da La nave di Teseo.
Allan Koenigsberg (questo il vero nome del regista) nasce il 1 dicembre del 1935 a New York, per l’esattezza a Brooklyn, da una famiglia ebrea. Il padre è un avventuriero che vive d’espedienti: la madre è una donna forte che dirige con piglio energico la vita della famiglia in ogni suo aspetto. Il piccolo Allan cresce in un ambiente dominato dalla cultura ebrea anche se i suoi genitori vi aderiscono più per convenzione che per reale credenza. Il ragazzo non è uno studente modello né tanto meno brillante. Al contrario, vive con fatica le rigide regole scolastiche e quando può si dà malato per dedicarsi ai suoi hobby preferiti, nell’ordine la radio, la musica e le ragazze. Nelle prime pagine del libro, dedicate alla sua adolescenza, ci sono già i temi ricorrenti del regista. La musica di Cole Porter, Irving Berling e Duke Ellington, i grandi interpreti classici del jazz, la comicità di Bob Hope, la radio come strumento di evasione da una Brooklyn  decadente, le ragazze, dalle quali è attratto ma che spesso lo respingono.
A 11 anni Allan fa due scoperte: la prima è il cinema. Il giovane frequenta tutte le sale del quartiere per vedere le commedie classiche degli anni ‘40 con Fred Astaire e Ginger Rogers. Lì si ritrova in un mondo fresco e buio. Dice Allen: “... non vedrò uomini in tuta da lavoro che si alzano all’alba per mungere le mucche ma lo Sky Line di Manhattan al suono di melodie meravigliose composte da Cole Porter o George Gershwin.” Il celebre incipit di Manhattan, uno dei suoi film più belli, è già racchiuso nella mente di un ragazzino. Poi, un giorno d’estate, il padre lo prende con sé per una commissione al di là del ponte e lo porta a Manhattan. La scoperta dell’isola è come un’illuminazione per il futuro regista. “Prendemmo la metropolitana e scendemmo a Times Square, salimmo le scale e ci trovammo all’incrocio tra la Broadway e la quarantaduesima strada. Rimasi senza fiato. Un milione di persone, soldati, marinai. Cinema a perdita d’occhio.”  
Da quel momento ogni occasione sarà buona per recarsi a Broadway e girovagare per le strade, spesso rifugiandosi in piccoli bar dove Allan divora fette di torta alla ciliegia e beve soda, aspettando che i cinema aprano nel pomeriggio.
Un’altra passione del comico è l’illusionismo. Allan si diletta in giochi di prestigio con le mani, ipnotizzando con la sua abilità i parenti ai bar mitzvah e guadagnando così qualche dollaro extra. Ma la vera aspirazione del futuro regista è quella di diventare un musicista jazz. Per anni si esercita al clarinetto con risultati buoni ma non eccellenti. Alla fine, l’artista accantona le sue aspirazioni musicali che diventeranno però un hobby quotidiano nella sua vita futura.
Un’altra passione del ragazzo è scrivere battute. Gli riesce talmente naturale che alcune delle sue freddure vengono pubblicate sul quotidiano locale, il Daily Mirror.
Deciso a continuare su questa strada, Allan si presenta all’agenzia di pubbliche relazioni, la David O. Alber Associates, il cui lavoro consiste nel garantire ai suoi famosi clienti la maggiore pubblicità possibile sui giornali a suon di citazioni fantasiose, comiche e bizzarre per raccontare la loro vita mondana. Per 40 dollari alla settimana Allan è messo sotto contratto dall’agenzia e descrive con battute fulminanti le gesta dei vip di Manhattan. Attratto dai facili guadagni il ragazzo prende due decisioni determinanti per la sua futura carriera. La prima è quella di abbandonare la New York University, dove nel primo anno di corso non si è distinto per solerzia e interesse; la seconda è quella di trovarsi un nome d’arte con il quale firmare i suoi articoli. Decide allora di tramutare il suo nome in cognome - da Allan a Allen - e di affiancargli un nuovo nome, Woody. 
Il primo passo verso la celebrità nasce dunque per caso.

Continua...

Podcast Woody Allen. Prima Parte

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