lunedì 20 luglio 2020

Woody Allen. Cronistoria di un genio. Terza Parte. All’apice del successo.

Con Io e Annie Woody Allen abbandona la slapstick comedy per dedicarsi a una storia romantica, innervata da un umorismo raffinato con una vena di malinconia. Io e Annie è l’opera della svolta, che trasforma Allen da autore comico ad artista a tutto tondo, un cineasta che d’ora in avanti non farà mai due volte lo stesso film e che imporrà alla propria filmografia un ritmo forsennato, con la media di una pellicola all’anno per oltre 40 anni. 
Io e Annie è la storia di una coppia che si incontra, si ama e si lascia, proprio come sette anni prima avevano fatto nella vita i due protagonisti. La Keaton, all’anagrafe Diane Hall (per la cronaca nel film il suo personaggio ha lo stesso cognome), interpreta sullo schermo se stessa: la sua sognante eccentricità, il suo gusto per la moda, la sua passione per la fotografia, le aspirazioni da cantante e il sogno di fuggire a Hollywood, sono tutti tratti distintivi della sua reale personalità. In modo analogo, Allen è sullo schermo Alvy Singer, un comico ebreo newyorkese pieno di fobie, una sorta di alter ego del regista, ossessionato dalla morte e dalle donne. Fin dall’incipit, nel quale il protagonista confessa allo spettatore le sue inquietudini, è evidente il tratto autobiografico dell’opera. La brillante sceneggiatura, co firmata da Marshall Brickman, sfrutta anche momenti personali dell’infanzia del regista e del suo controverso rapporto con la madre. A differenza dei lavori precedenti Io e Annie è anche formalmente perfetto, grazie a dieci mesi di riprese e alla maestria del direttore della fotografia Gordon Willis, già autore delle riprese de Il Padrino, soprannominato il re dell’oscurità, che regala alla pellicola una luce calda e avvolgente. All’inizio, la durata complessiva della storia supera le due ore ma l’intervento del montatore Ralph Rosenblum la porta a un’ora e mezzo, concentrando l’attenzione solo sulla romantic comedy. Woody Allen vorrebbe titolare il film Anhedonia (in greco assenza di piacere) ma i produttori, terrorizzati all’idea, lo convincono per il più rassicurante Io e Annie. La pellicola si rivela un grande successo di critica e di pubblico e il 29 marzo del 1978 conquista a Hollywood 4 Oscar, Miglior Film, Miglior Regia, Migliore Sceneggiatura, Migliore attrice a Diane Keaton. Allen, disinteressato alle competizioni, non si presenta alla cerimonia e suona quella sera al Michael’s Pub di New York.
Fedele alla sua nuova idea di cinema con Interiors il regista fa un salto quantico, abbandonando la comicità per dedicarsi a un dramma di ispirazione al contempo cechoviana (in particolare Tre Sorelle) e bergmaniana (Sussurri e grida è il riferimento) che narra la storia di tre sorelle dominate da una madre oppressiva. Allen mira alto, per sua stessa ammissione, ma il pubblico diserta in massa l’opera che è un flop colossale. 
Scottato dall’insuccesso, l’artista torna alla commedia romantica con quello che è considerato da molti il suo capolavoro, Manhattan. Ancora una volta egli pesca dalla sua biografia per raccontare le vicende di un autore televisivo, Isaac Davis, diviso tra l’amore per la sua città e le vicende amorose che lo vedono combattuto tra l’ingenua sedicenne Tracy (una delicata Mariel Hemingway), la nevrotica Mary (ancora una volta Diane Keaton), e la sua ex moglie lesbica (interpretata da una giovane Meryl Streep) con la quale ha un rapporto conflittuale che preconizza sullo schermo quello con Mia Farrow. 
Il mix tra commedia, romanticismo e umorismo è qui al suo meglio, merito del copione, scritto insieme al fido Brickman. Il tutto è fotografato in un magnifico bianco e nero anamorfico da Gordon Willis e commentato dalla splendida Rhapsody in Blue di George Gershwin. Il riscontro del pubblico è buono, quello con la critica controverso. In particolare Pauline Kael del New Yorker critica la storia d’amore tra il protagonista e la minorenne, altro elemento che tornerà una decina di anni dopo nell’annosa indagine per molestie intentata all’autore. Alcuni giornalisti commentano inoltre la differenza tra la vita del suo protagonista sullo schermo, scarna ed essenziale, e la vita privata di Allen da jet set, tra Rolls Royce e feste di capodanno strepitose. “Spesso quello che il signor Allen dice è diverso dal modo in cui vive in realtà” gli rimprovera Tony Schwartz sul New York Times.

Manhattan
Manhattan

Nel 1980 Woody Allen è un regista famoso che vuole distaccarsi dall’etichetta di attore e regista di commedie. Per questo motivo, dopo avere affrontato il dramma con Interiors ci riprova con Stardust Memories, spudorata versione in chiave statunitense di 8 ½ di Fellini. Qui, egli è un regista di mezza età in crisi d’ispirazione. Girato in uno splendido bianco e nero dal solito Willis, Stardust Memories è uno zibaldone citazionistico che il regista realizza per se stesso piuttosto che per il pubblico. E anche in questo caso il risultato è scontato: un totale insuccesso in patria e qualche raro estimatore in Europa.
Nello stesso anno si apre la storia d’amore tra Allen e l’attrice Mia Farrow, un’unione artistica e personale destinata, nel bene e nel male, a sconvolgere la vita dell’artista.
Il primo lavoro insieme è del 1982, Una commedia sexy in una notte di mezza estate. Ambientata in una villa in campagna la storia è un rondò amoroso che ottiene un tiepido successo al quale Allen reagisce girando in contemporanea il ben più riuscito Zelig, uno dei suoi film più geniali. In un bianco e nero documentaristico Zelig racconta la vicenda di un uomo che per compiacere gli altri ed essere accettato è in grado di rivestire molteplici personalità, passando con disinvoltura dal politico al musicista, dal rabbino ebreo al cantante di colore. Zelig è un tripudio di invenzioni visive che mescola alla fiction immagini d’archivio e interviste a personalità come Susan Sontag e Bruno Bettelheim. Per rendere verosimile la vicenda, ambientata negli anni ‘30, Gordon Willis utilizza cineprese d’epoca. E’ evidente che con questo lavoro Allen affronta il tema dell’identità ebraica. Zelig il camaleonte si trasforma per fondersi con la massa, per sfuggire a uno sguardo che esclude e distingue. Essere polimorfo egli è una variazione dell’ebreo errante. 
Il successivo lavoro è altrettanto geniale: Broadway Danny Rose del 1984 rievoca gli esordi di Allen come stand up comedian ed è ambientato nel sottobosco dello spettacolo. Il regista interpreta un agente di comici mediocri innamorato della sciocca Tina (la Farrow), vedova di un mafioso. La commedia è irresistibile, al pari de La Rosa Purpurea del Cairo, da Allen considerato il suo film migliore. Qui siamo nella Brooklyn degli anni ‘30 e Cecilia è una cameriera che annega le sue delusioni nel cinema. La sua vita si trasforma quando il suo divo del cuore (interpretato da un giovane Jeff Daniel) esce letteralmente dallo schermo per unirsi a lei in una storia d’amore impossibile tra finzione e realtà. L’opera, osannata dalla critica, attira uno scarso pubblico in America mentre riscuote un grande successo in Europa. 
Nel 1986 è la volta di Hannah e le sue sorelle, ritratto di un gruppo di donne, una storia  di amore e rivalità tra due sorelle e la madre. Il film si avvale di un cast eccellente guidato da Mia Farrow, affiancata da Dianne Wiest e con la partecipazione di Michael Caine. E’ anche il primo lavoro senza Gordon Willis dietro la macchina da presa, sostituito da Carlo Di Palma, operatore storico di MIchelangelo Antonioni. Hannah e le sue sorelle è un successo unanime di critica e di pubblico, ottiene sette nomination all’Oscar e ne conquista 3, Migliori attori a Michael Caine e Dianne Wiest e migliore sceneggiatura originale allo stesso Allen.

Le molteplici personalità di Zelig
Le molteplici personalità di Zelig

Film gemello de La Rosa Purpurea del Cairo, Radio Days è il titolo più personale nella filmografia alleniana e ripercorre le vicende del piccolo Joe (Seth Green) durante gli anni ‘40 a Brooklyn, l’epoca d’oro della radio. L’operina è un mosaico composto da quasi 200 parti, mirabilmente intrecciate tra loro, dove episodi malinconici si alternano ad altri più divertenti per raccontare l’elegiaca infanzia del regista, cui fa da contrappunto una partitura musicale d’epoca.
Settembre è, invece, un ritorno alle atmosfere bergmaniane e al rapporto distruttivo tra madre e figlia, un tema centrale nell’opera del maestro svedese. Il regista è così meticoloso che decide di girare il film due volte, non essendo soddisfatto del terzetto di interpreti iniziale, composto da Mia Farrow, Maureen O’Sullivan, madre dell’attrice anche nella vita reale, e Christopher Walken. Allen alla fine sostituisce quest’ultimi con Elaine Stricht e Sam Shepard ma nonostante il perfezionismo il risultato non è all’altezza delle sue opere migliori.
Nel 1988 il regista collabora con Sven Nykvist, direttore della fotografia di Bergman, per Un’altra donna, ritratto al femminile di una giovane donn-a in gravidanza (la stessa Farrow in attesa di Satchel) e una donna matura, cui presta il volto Gena Rowlands. Questo nuovo affresco umano si rivela uno dei migliori lavori intimisti di Allen.
Alla fine degli anni ‘80 la carriera di questo poliedrico artista ha già affrontato numerose svolte ma l’ultimo film del decennio è una vera gemma drammaturgica: Crimini e Misfatti.

Podcast Woody Allen. Prima Parte

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